LA GIUSTIZIA: UN FANTASMA CHIAMATO CORPO

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LA GIUSTIZIA: UN FANTASMA CHIAMATO CORPO

 Un articolo tratto dal sito http://caffenews.wordpress.com/2007/07/24/io-casertano-trasferito-a-bologna-e-il-puzzo-della-mafia-delle-nostre-terre-2/

di Spartaco Capozzi 

 

Appena dopo la morte di Fortugno i politici dell’Unione sono venuti in Calabria ad affermare con orgoglio: “noi non vogliamo i voti della ‘ndrangheta!”.

 

Si sentivano anche frasi come: “Il coraggio dei nostri giovani deve diventare oggi il nostro coraggio. La loro apparente incoscienza è una grande lezione di saggezza. Noi dobbiamo premiare il loro coraggio e dobbiamo dare l’esempio”. Potrei citare altre frasi, altre dichiarazioni di sguardi fieri che guardano negli occhi la criminalità, altre intenzioni di coraggio e di sostegno alla magistratura…potrei insomma raccontare l’ennesima avvilente distanza tra il dire e il fare, l’ennesima avvilente distanza che c’è ancora tra l’invocare la legalità e la giustizia senza fare mai un solo atto davvero forte che renda appunto forti e credibili questi valori, un solo atto politico capace di indicare la strada per penetrare nelle viscere della criminalità organizzata, capace di contrastarne la crescita, che è innanzitutto una crescita economica. La mafia, la ‘ndrangheta e la camorra ci stanno rivelando una autentica verità: ciò che è più ricco è più spietato, e ciò che diventerà più ricco sarà ancora più spietato! Ed è incontrovertibile un’altra verità: se la malavita sta diventando sempre più ricca l’ azione politica o è assente o è completamente inefficace. In particolare, pensando alla puntata di W l’Italia Diretta sulla giustizia in Calabria, trasmissione importante condotta da Riccardo Iacona, un anno e mezzo dopo la morte di Fortugno ci troviamo di fronte una ‘ndrangheta più forte. Più ricca. Più spietata. Allora quelle parole cos’erano, ci si chiede. Forse, viene da pensare, non si rivolgevano neanche alla ‘ndrangheta. Forse erano dirette alla gente, ma solo per raccontarle una favola capace di far sbollire una rabbia. Forse nessuna idea di futuro sosteneva quelle parole.
Pur non intendendo cavalcare l’onda populista che accompagna spesso questa questione, è semplicemente un fatto che l’unico vero atto politico riferibile alla Giustizia dalla manifestazione di Locri ad oggi è stato l’indulto. Questo è davvero sconfortante. La piazza di Locri vuota durante la sua trasmissione è il riflesso, prima ancora dell’assenza della gente – certamente desolante -, della fragorosa assenza della politica. E’ l’aborto di qualsiasi lotta. E’ un deserto anche mediaticamente percepibile. E’ il Silenzio che riempie totalmente la vita, e ne diventa l’inesorabile, latente protagonista. Nessuno pare crederci più a questa lotta. Una politica incapace di convogliare, tenere insieme e proteggere le persone che lottano contro le mafie. Queste figure, che siano giudici, magistrati, o semplici cittadini, sono costantemente isolate.
L’isolamento non si combatte solo attraverso la disposizione delle scorte per i soggetti a rischio. L’isolamento riguarda – facendo solo alcuni esempi – il magistrato che si compra la carta da solo; riguarda il commerciante indicato dalla folla perché non ha pagato il pizzo. Isolata è la giustizia tutta, perché in Italia i soldi non sono mai per la Giustizia. Un sistema così lento e farraginoso, limitato alla volontà, a volte commovente, di singole figure, non è degno neanche di essere chiamato sistema. Anche qui la questione è molto concreta e difficilmente può essere smentita: se lo Stato non investe nella Giustizia vuol dire che lo Stato non vuole Giustizia! Ed è qui che ritorna bruciante l’eco di Falcone e Borsellino. Anche a loro lo Stato, invece di sostenerli con la massima forza, gli ha rallentato la corsa. Queste sono cose che non possiamo permetterci di dimenticare. Dopo la morte di Falcone, Borsellino intenzionato a trovare i colpevoli diceva continuamente: “Devo correre!”. La banale verità è che per sconfiggere la malavita organizzata si deve correre. Quale credibilità ha allora la nostra giustizia, completamente ingessata, privata di mezzi, fatta anche di norme contraddittorie con quell’ etica della legalità che le bocche politiche ci raccontano anno dopo anno. Una giustizia addirittura mortificata, in alcuni casi, anche dalle demotivanti dichiarazioni degli stessi politici. Se da un lato vi è un impero economico e dall’altra si fatica a trovare cento euro per riparare le tapparelle, allora quello che i politici chiamano lotta, somiglia più ad una farsa beffarda. Una farsa indecente! Un fantasma che si ostina a farsi chiamare corpo!
Una delle varie colpe di questa farsa è di suscitare e poi imprimere negli uomini comuni il sentimento dell’impotenza. Un sentimento che diventerà poi abitudine di vita, fino a confondersi con l’omertà e il cinismo. Ed è coltivando l’omertà e il cinismo che si diventa mafiosi! Ma potremmo anche smetterla di parlare solo di assenza dello Stato, alibi attraverso il quale spesso giustifichiamo l’assenza di noi stessi. Sarebbe ora di trovare, se non la fede nelle istituzioni, il coraggio di rispondere alla domanda che con occhi dolenti e potenti e con voce determinata ci pone Mario Congiusta: “Tu da che parte stai?” Non si può più accettare la nostra distrazione, il nostro sperare che non succeda a noi quello che è successo ad altri. Non possiamo più trattare un fenomeno economico e criminoso di proporzioni inaudite come un fatto di superstizione, che ci induce a sperare nella fortuna. Sì, è vero, le pallottole vaganti esistono. Ma in questa economia della morte la sfortuna di chi è colpito dalle pallottole vaganti è solo una conseguenza di una procedura sapientemente, quanto spietatamente organizzata. Ad esempio la morte di Gianluca Congiusta è stata stabilita attraverso una riunione, una sentenza votata dai boss, un piano studiato nei minimi dettagli. Spesso i piani prevedono anche il numero dei colpi di pistola che devono trafiggere un corpo di un politico onesto, di un magistrato tenace, di una persona che non accetta di finanziare, ad questa economia del sangue. In generale, le modalità stesse di un omicidio sono un segnale da diffondere, una cicatrice sulla realtà. Sangue, droga, monnezza, solo elementi di una catena d’oro, la matematica da scrivere che fa anche della merda un business irrinunciabile. Soffermandoci solo su poche questioni, come si fa a credere che possiamo essere esclusi dal tessuto della malavita senza fare niente. La droga è ovunque, anche a Bologna, cioè dove abito da otto anni, non sfuggendo affatto dalla presenza delle mafie, come ingenuamente un emigrante è portato a credere. Qui anche le case mi parlano di camorra. A Caserta, dove abita la mia famiglia, il tanfo insopportabile portato dal vento, che penetra nelle finestre delle nostre cucine, ci consegna, mentre mangiamo e laviamo i piatti, una presenza incombente, profondamente mortale. Una presenza che ha già determinato gran parte del nostro futuro.
Quello che voglio dire è che la malavita si relaziona costantemente con i nostri gesti quotidiani, quelli che potremmo chiamare naturali. La camorra, la ‘ndrangheta, la mafia, forse stanno diventando parte della natura dei nostri gesti e delle nostre parole. Sembrano le uniche certezze del nostro futuro.
Per contrastare questa peste estremamente feconda noi tutti possiamo cominciare appunto col comprendere quello che vogliamo essere, a capire davvero da che parte stiamo, costringendo poi i politici a rispondere alla stessa domanda. Ad esempio, dovremmo gridare a squarciagola che in Parlamento, come in ogni istituzione pubblica, non si può più ammettere la presenza di pregiudicati, condannati o politici sotto processo per concorso in attività mafiose. Dobbiamo chiederlo con forza, pretenderlo prima di tutto dai partiti che votiamo, e poi dagli altri. Neanche il rischio di corruzione può più far parte del Parlamento. E’ un rischio troppo grande. I politici, ricordiamolo, hanno bisogno di noi. E noi abbiamo assolutamente bisogno di un’altra politica, se siamo contro la malavita organizzata, se siamo contro la morte di Falcone e Borsellino, si siamo contro la morte di Fortugno, se siamo contro la morte di Gianluca Congiusta. E gli occhi di Mario Congiusta, di sua moglie, di sua figlia, devono essere i nostri stessi occhi.
Tuttavia sento l’istinto dell’indifferenza pesare su di me. Queste gambe che esprimono naturalmente la necessità di scappare chissà dove. L’automatismo inesorabile con cui mi volta dall’altra parte. Che io sia maledetto me! Che maledetta sia questa Natura! Quando è iniziato tutto?
Quando finirà?

Spartaco 24/07/07