“Processo Congiusta”
Rassegna Stampa
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La richiesta di aiuto a Cherubino

La telefonata della fidanzata di Gianluca alle 4 del mattino

Rocco Muscari per Gazzetta del sud
Locri 15 maggio
Continua davanti alla Corte di Assise (presidente Muscolo a latere Frabotta), il processo per l’omicidio di Gianluca Congiusta. Dopo l’escussione da parte del pm Antonio De Bernardo, del vice questore Rocco Romeo ieri è toccato alle difese contro esaminare il dirigete della polizia che ha coordinato le indagini che hanno portato all’arresto del presunto mandante ed esecutore dell’azione delittuosa, Tommaso Costa.
Il difensore di fiducia di Costa, avv. Maria Tripodi, ha ripercorso tutte le 450 atti firmati dal dott. Romeo nello svolgere l’inchiesta. Il difensore si è più volte soffermato sull’ipotesi di un movente passionale alla base dell’omicidio, fatto che Romeo ha sottolineato essere stato preso in considerazione fin dal primo momento: “Anche perché – ha detto – l’ultima telefonata ricevuta da Congiusta, poco prima che i killer entrassero in azione, proveniva dall’utenza di una donna risultata sposata e con la quale è apparsa chiara una relazione”. Dai successivi riscontri effettuati dagli inquirenti e confermati da Romeo, la pista sentimentale è però apparsa flebile.
Altra ipotesi difensiva sulla quale si sono concentrate una serie di domande riguardano una nota informativa, giunta al Commissariato di Siderno dalla Squadra Mobile di Reggio, nella quale si poneva l’attenzione su un presunto giro di usura. Romeo ha subito chiarito che la pista degli usurai non trovava conferma da quanto, nel contempo, emergeva dal fascicolo della procura di Catanzaro, con riferimento alle lettere intercettate nel carcere a Tommaso Costa, ovvero un tentativo di estorsione ai danni di Antonio Scarfò, futuro suocero di Congiusta. Il vice questore ha ribadito il contenuto della corrispondenza intercettata nel carcere di Palmi, dove Costa era detenuto, che ha portato allo sviluppo delle indagini: “suffragate dall’attività tecnica investigativa che, attraverso intercettazioni ambientali e telefoniche nei confronti dei familiari di Congiusta, compresi la fidanzata ed i futuri suoceri, hanno confermato l’ipotesi che lo Scarfò era oggetto di attenzione della ricostituendo cosca dei Costa”.
Su richiesta della Corte il teste ha precisare compiutamente il tragitto della lettera estorsiva, con i passaggi dalle mani della moglie di Scarfò a quelle di Congiusta, fino a quelle di Salvatore Salerno, ritenuto capo di una cosca “scissionista” pronta ad allearsi con i Costa, da come emerge anche da un’altra operazione di polizia, “Terra di Nessuno”.
Il dibattimento riprenderà il 30 maggio.
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Rocco Muscari per Gazzetta del Sud
Locri 06 maggio 2008La Corte di Assise del tribunale di Locri, (presidente Muscolo a latere Frabotta), ha disposto l’acquisizione delle missive prodotte dal pm, Antonio De Bernardo, che riguardano la corrispondenza di Tommaso Costa, presunto mandante ed esecutore dell’omicidio di Gianluca Congiusta, in entrata ed in uscita durante la sua detenzione nel carcere di Palmi. La Corte ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, effettuate nella stessa casa circondariale nel corso dei colloqui tenuti dal Costa con i propri familiari, contro le quali si era pronunciato l’avvocato Leone Fonte, difensore di Giuseppe Curciarello, accusato di associazione a delinquere. Nell’ordinanza si dispone, come richiesto dall’avvocato Maria Tripodi, l’ammissione dell’esame di Francesco Caridi, in relazione ad un articolo dove il giornalista pone alcuni interrogativi sull’omicidio Congiusta. La Corte, infine, ha sospeso i termini della custodia cautelare in carcere a Costa e Curciarello. Subito dopo è iniziata l’escussione del primo teste dell’accusa, il vice questore Rocco Romeo, che all’epoca ha coordinato le indagini sull’omicidio. Romeo ha ripercorso le tappe che investigative iniziando dal ritrovamento in macchina del corpo esamine del giovane: “Subito abbiamo ricostruito la sua vita professionale ed i rapporti di frequentazione e iniziato a ipotizzare possibili moventi”. Romeo ha indicato, quale prima ipotesi, quella di presunti coinvolgimenti sentimentali, verificandone in seguito l’inconsistenza, insieme ad altre piste investigative risultate inconsistenti. La svolta alle indagini, come ha più volte ribadito Romeo, è giunta dopo una comunicazione proveniente dalla Dda di Catanzaro, relativa alle intercettazioni ambientali ed al controllo della corrispondenza di Tommaso Costa, detenuto a Palmi “Da approfonditi accertamenti si è ipotizzato il coinvolgimento del Costa nell’omicidio di Congiusta”. Il contesto in cui sembra essere maturato l’omicidio, secondo gli inquirenti, risalirebbe ad una lettera inviata nel dicembre 2003, addebitabile secondo Romeo al Costa, contenente una richiesta estorsiva, pari a mille euro mensili, ai danni di Antonio Scarfò, futuro suocero di Congiusta, proprietario di alcune aziende nate con il patto territoriale della Locride. La lettera, come si evince da successivi riscontri, viene consegnata a Congiusta dalla futura suocera, Girolama Raso: “Costa, informato dalla sorella sulle dicerie che girano nel paese relative a quella lettera, nega la paternità a lei ed ai solidali, compreso il Curciarello, fino a quando si giunge alla missiva in cui la lettera “estorsiva” risulta essere nella disponibilità di Salvatore Salerno, che sarà ucciso nell’ottobre 2006, già ritenuto vicino alla presunta cosca Commisso, ma pronto a creare un sodalizio criminoso nuovo, magari alleandosi proprio con i Costa che, nel frattempo, stavano ritornando in auge, con una serie di alleanze strategiche”. Alleanze che hanno visto l’interessamento di Tommaso Costa anche per il voto alle elezioni europee del 2004: “Da quanto emerge in una lettera Costa aveva interessato congiunti pugliesi a far votare Luciano Racco”. La difesa di Curciarello, con l’avvocato Dario Grasso, ha posto in evidenza alcune possibili discrepanze in riferimento all’ipotesi accusatorie riferite al proprio assistito. Il controesame continuerà alla prossima udienza del 14 maggio.
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Locri 6 maggio 2008
pino lombardo per Il Quotidiano
Locri. In aula il vicequestore Romeo parla delle indagini sull’omicidio di Siderno
Congiusta,il caso delle lettere
L'assassino era Tommaso Costa:fece votare Racco
Il vice questore Rocco Romeo,ieri,in Corte d’Assise a Locri,presieduta dal giudice Bruno Muscolo con a latere il togato Frabotta,rispondendo alle domande del pubblico ministero,il sostituto procuratore della DDA reggina Antonio Di Bernardo,ed alle richieste integrative del presidente Muscolo, ha illustrato come gli investigatori non solo siano giunti ad individuare ed arrestare la “cosca” sidernese dei “Costa”,ma anche ad accusarne il capo,Tommaso Costa,di essere il mandante e l’esecutore, “in concorso con persone ancora ignote”, dell’assassinio del giovane imprenditore di telefonia,Gianluca Congiusta consumato a Siderno la sera del 24 maggio 2005.Già in avvio dell’udienza la Pubblica accusa aveva “incassato” il primo successo dal momento che la Corte non solo accoglieva la richiesta di acquisire le missive che Tommaso Costa aveva spedito e ricevuto durante la detenzione nel carcere di Palmi,ma anche di sospendere i termini di custodia cautelare per i due odierni imputati,Tommaso Costa,che deve rispondere oltre che dell’assassinio del giovane Congiusta, anche di associazione mafiosa,e Giuseppe Curciarello che invece deve rispondere del solo reato di associazione mafiosa.Da parte sua la legale di Tommaso Costa,Anna Tripodi, ha ottenuto che venisse sentito come teste di difesa il giornalista Francesco Caridi autore di un articolo pubblicato su un settimanale dove evidenziava,seppure in maniera interrogativa che “forse la sera prima di essere ucciso Gianluca sarebbe stato visitato nel suo negozio da due ignoti giovanotti ai quali avrebbe detto,pallido in volto,ragazzi lasciatemi stare,non scherzate”.Poi è stata la volta dell’allora dirigente capo del Commissariato di Siderno,il vicequestore Rocco Romeo.Il teste,nel corso di una lunga maratona protrattasi fino a sera ha evidenziato non solo l’esistenza della “cosca Costa” ma anche perché Tommaso Costa è ritenuto essere l’assassino di Gianluca Congiusta.Nel suo “racconto” Romeo partiva dal momento in cui al 113 giungeva una telefonata avvertendoli che in via Arena vi era stato un grave incidente automobilistico.Ma “giunti là,-evidenziava Romeo-,trovammo invece la BMW 3 col motore acceso,il finestrino lato guida infranto dal colpo di fucile ed il giovane morto seduto sul sedile.”.Il vice questore raccontava alla Corte che le prime indagini vennero indirizzate,anche a seguito della circostanza che l’ultima telefonata ricevuta dal giovane fosse di una donna sposata, “la signora Rosa….”,sulla cosiddetta pista “sentimentale”.La pista venne ben presto abbandonata perchè inconsistente.Anche quella che portava ad un grosso giro di usura,avallata dalla circostanza che nel borsello del giovane,trovato sotto il sedile dell’auto vi erano diversi assegni posdatati ed in bianco,venne ben presto abbandonata,così come quella “suggerita” da un sedicente amico di Gianluca Congiusta,Gianluca Di Giovanni,sconosciuto ai familiari del giovane e detenuto presso le carceri di San Vittore a Milano,che lasciavano sottintendere che il giovane potesse essere coinvolto in un vasto giro di riciclaggio di danaro sporco. A mettere gli investigatori sulla pista giusta fu una nota dei carabinieri di Soverato che stavano indagando sul gruppo “Costa” per reati commessi in quel territorio. Fu allora che i poliziotti scoprirono l’esistenza della missiva estorsiva nei confronti dell’imprenditore sidernese,nonché futuro suocere di Gianluca Congiusta,Antonio Scarfò.Con quella missiva, “anonima,ma attribuita a Tommaso Costa,-sottolineava il vicequestore-,” si intimava a Scarfò che era già sotto estorsione,di pagare. “Se paghi agli altri a noi fa piacere,ma devi pagare anche noi”, e questo perché Scarfò aveva realizzato nel “territorio dei Costa”,la sua attività per la quale aveva incassato circa un milione e mezzo di euro a fondo perduto dai “Patti Territoriali”. Romeo indica una serie di missive, “intercettate” e fotocopiate dalla polizia carceraria, che Tommaso Costa inviò o ricevette durante la sua detenzione presso le carceri di Palmi,dalle quali emerge non solo la preoccupazione che la lettera estorsiva fosse finita in mani sbagliate, (quelle di Salvatore Salerno),ma anche il ruolo di capo della omonima cosca che da ordini al suo braccio destro,Giuseppe Curciarello,e si inserisce in campagne elettorali a favore del candidato locali alle europee, Luciano Racco. Mentre dalle missive ricevute da Salvatore Salerno ,che lo rassicurava circa l’utilizzo della missiva estorsiva indirizzata a Scarfò e finita elle sue mani,emerge che Tommaso Costa stava avviando alleandosi con i fratelli Salerno, braccio armato della avversaria cosca sidernese dei “Commisso”, che unitamente ai fratelli Zimbalatti ed ai fratelli Flippone,stavano cercando di affrancarsi dalla cosca madre.Romeo a tal proposito cita alcune lettere che Tommaso Costa scrisse alla sorella Teresa nelle quali il boss evidenzia che lui si stava dando da fare per riconquistare a Siderno “il posto che mi spetta” e che si stava alleando con “quelli che prima ci sparavano”. L’alleanza,sottolineava il vice questore.non avrà seguito perché i due fratelli Salerno,Salvatore ed Agostino vennero uccisi a distanza di un mese l’uno dall’altro,ed i fratelli Zimbalatti, “armieri dei Salerno”, e Filippone che dopo l’assassinio dei due Salerno finirono in prigione. Piccolo “scontro” tra il teste e l’avvocato Dario Grasso,coodifensore con Leone Fonte di Giuseppe Curciarello,nel corso del controesame finalizzato a dimostrare la non appartenenza alla “cosca Costa” del suo assistito.Romeo tornerà in aula il prossimo 14 maggio per il controesame delle difese.
Locri 6 maggio 2008
pino lombardo per Il Quotidiano
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Rocco Muscari per Gazzetta del Sud
Locri 28 aprile 2008
Processo Congiusta
Ammesso tra i testi il consigliere regionale Cosimo Cherubino
La Corte di Assise del tribunale di Locri, (presidente Bruno Muscolo a latere Frabotta), ha ammesso tutti i testi della lista del pubblico ministero, Antonio De Bernardo, del difensore di Giuseppe Curciarello, avvocato Leone Fonte, quasi tutti della difesa di Tommaso Costa, avvocato Maria Tripodi. In questa ultima circostanza la Corte ha disposto per una serie di testimoni delle deroghe sulle domande interenti a fatti o circostanze ritenute prive di rilevanza probatoria al procedimento per accertare la verità processuale per l’omicidio di Gianluca Congiusta, il giovane commerciante sidernese ucciso il 24 maggio del 2005.
Nell’ordinanza la Corte ha disposto anche la testimonianza del consulente dell’accusa, dottore Rizzo, contro il quale si era opposta la difesa Costa. La Corte ha ammesso anche la testimonianza del consigliere regionale Cosimo Cherubino con la deroga a riferire su parentele personali riferite a Siderno: l’esponente socialista sarà chiamato a rispondere sulla conoscenza diretta con Congiusta e sui motivi della telefonata intercorsa con i familiari del giovane che la sera dell’omicidio. Ammessi in qualità di testi gli imputati Costa, che deve rispondere di omicidio “in concorso con altri soggetti non identificati”, e Curciarello che risponde all’imputazione di associazione a delinquere. E’ stato acquisito il verbale dell’interrogatorio di garanzia di Pietro, fratello di Tommaso, le denunce di Gianluca Congiusta presentate in epoca precedente, le lettere provenienti dal carcere inviate ai familiari della vittima dal detenuto Gianluca Di Giovanni. Non sono state acquisite le fotografie di una donna bionda sulle quali l’avvocato Tripodi ha più volte posto l’attenzione, al fine di percorrere una diversa ipotesi investigativa definita dagli organi inquirenti “senza sbocco”.
È stata rigettata, tra l’altro, la richiesta della difesa di acquisire una denuncia-memoria scritta da Mario Congiusta, padre di Gianluca, consegnata al pm De Ponte che indagava all’inizio sull’efferato delitto.
La Corte si è riservata di nominare un perito per le trascrizioni delle intercettazioni ambientali e telefoniche ammesse. Si è invece riservata di decidere su alcune missive, la cui acquisizione è stata richiesta dal pm De Bernardo.
Non si è proceduto all’acquisizione d’ufficio delle dichiarazioni rese da Antonio Scarfò, futuro suocero di Congiusta, in sede di rito abbreviato a Reggio Calabria dove si celebra il processo ad imputati accusati di associazione a delinquere che hanno scelto il rito abbreviato.
In conclusione, De Bernardo ha chiesto alla Corte la sospensione dei termini di custodia cautelare vista “la complessità del quadro che si è delineato con l’ammissione dei mezzi istruttori che vede una lunga lista di testi e, nel contempo, la gravità dei reati ai quali gli imputati devono rispondere”. Richiesta alla quale si sono immediatamente opposti i difensori, in particolare l’avv. Fonte che ha posto in evidenza come: “non si ha contezza della vera complessità e lunghezza del dibattimento, è quindi prematura la richiesta del pm anche in considerazione del fatto che i tempi si apprenderanno con l’escussione dei testi e, vista la similitudine delle liste, in molte circostanze potrà essere esaustivo il controesame”.
Sulla sospensione dei termini e sulla corrispondenza di Costa la Corte si è riservata di decidere alla prossima udienza, che si terrà il 6 maggio, quando inizierà anche l’escussione di alcuni testi quali il vice questore Rocco Romeo e l’ispettore capo Giordano.
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Processo Congiusta-Alla sbarra il boss
Sarà sentito come testimone il politico Cherubino
Locri 28 aprile 2008
"All’udienza dell’undici aprile, il mio avvocato aveva chiesto di acquisire nel fascicolo del dibattimento alcuni atti utili per il raggiungimento della verità processuale, trovando davanti l’opposizione del pubblico ministero. Noi siamo qui per accertare i fatti, quindi mi auguro che questa corte sappia giudicare, perché la giustizia deve trovare il colpevole, non un colpevole, non uno qualsiasi. Io sono stato rivoltato come un calzino, signor presidente".
La corte d’assise del tribunale di Locri deve ancora ritirarsi per decidere sulle richieste presentate dalle parti, quando il carcerato Pietro Costa termina di leggere la sua dichiarazione spontanea. Il boss accusato di essere il killer di Gianluca Congiusta ieri, dopo aver preso la parola, ha invitato i magistrati che lo dovranno giudicare in primo grado ad accogliere, e vagliare "attentamente", gli spunti investigativi di cui il suo legale pochi minuti prima aveva chiesto l’acquisizione, perché "io – ha detto- non sono il colpevole".
Invito che la Corte raccoglierà solo a metà. Tant’è che, dopo due ore di camera di consiglio, delle numerose richieste presentate dal suo avvocato, solo una parte ha incassato l’avallo. Sono rimasti fuori dal fascicolo del dibattimento gli assegni sequestrati dagli inquirenti nell’abitazione di Gianluca Congiusta, di cui la difesa aveva chiesto l’acquisizione, e la memoria consegnata al pubblico ministero dal padre, ma in cambio verranno sentiti tutti i testi indicati.
Al banco dei testimoni saliranno per deporre Cosimo Cherubino, il politico dei socialisti con il quale Gianluca due giorni prima di venire assassinato trascorse una serata, e Antonio Scarfò, l’imprenditore a cui Tommaso Costa fece recapitare una lettera con una richiesta estorsiva. Tommaso Costa voleva denaro dal suocero di Gianluca.
Di lui, del padrino del clan di Siderno contrapposto a quello dei Commisso, ieri ha discusso Tommaso Curciarello, il braccio destro bollato dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria come colui che, su ordine del capo, se ne andava in giro a chiedere mazzette ai commercianti di Siderno.
"E’ incredibile. Tommaso Costa lavorava tutti i giorni, non era un boss. Se fosse stato un boss non sarebbe andato in giro a tirare la giornata, sarebbe rimasto seduto a spillare quattrini ai commercianti. Non regge, non tiene quello che gli contestano", diceva senza darsi pace in un momento di pausa dal gabbiotto dell’aula, prima che i giudici rientrassero in aula per leggere l’ordinanza.
Per la prossima udienza sono stati convocati il vicequestore Rocco Romeo, attualmente al vertice della divisione anticrimine della Questura di Vibo, e il suo vice Giordano, del commissariato di polizia di Siderno. I due dovranno deporre sulle indagini svolte.
ILARIO FILIPPONE
i.filippone@calabriaora.it
«Assunsi Costa perché mi serviva»
Delitto Congiusta, ieri è stato sentito il suocero della vittima
REGGIO CALABRIA – È stato il giorno più importante nel troncone del processo per l’omicidio Congiusta che si sta celebrando con il rito abbreviato davanti al gup Daniele Cappuccio.
È stato sentito Antonio Scarfò, il suocero della vittima che, stando all’impianto accusatorio preparato dal sostituto procuratore della Dda Antonio De Bernardo, aveva subito un tentativo di estorsione da parte del clan Costa di Siderno. Tentativo nel quale si era intromesso proprio il genero Gianluca Congiusta.
Quest’ultimo avrebbe messo “in imbarazzo” il boss Tommaso Costa (che ha scelto il rito ordinario) il quale avrebbe temuto la reazione della cosca Commisso che non sarebbe stata informata della richiesta di denaro agli Scarfò.
L’omicidio di Gianluca Congiusta, quindi, avrebbe rappresentato il prezzo che i Costa hanno dovuto pagare per mantenere il precario equilibrio mafioso a Siderno dove da mesi stavano tentando di riacquistare quel predominio del territorio perso dopo la faida contro i Commisso.
Ritornando al processo, alla sbarra c’erano Khaled Bavan (detto “Carlo” di 46 anni), Francesco Costa (29), Pietro Costa (58), Giuseppe Costa (26), Michele Di Corso (45), Valentino Di Santo (33), Adriana Muià (moglie del boss di 48 anni) e Nicola Trombacco (28).
Nel corso dell’interrogatorio, Antonio Scarfò si è soffermato principalmente sul rapporto di lavoro con Pietro Costa. A proposito l’imprenditore taglieggiato ha negato che l’assunzione del fratello del boss presso la sua ditta sia stata una sorta di estorsione.
«L’- ho assunto – ha dichiarato Scarfo al gup Daniele Cappuccio – per le esigenze dell’azienda».
Il pm De Bernardo ha ricostruito nei dettagli tutti le intimidazioni subite da Scarfò prima della famosa “lettera morta” inviatagli da Costa: il colpo di pistola esploso contro l’Opel Zafira di proprietà della moglie Girolama Raso e i danneggiamenti subiti della Ford Mondeo intestata alla ditta “Ilas” e della l’auto della figlia Katiuscia Scarfò, fidanzata di Gianluca Congiusta.
Le risposte dell’imprenditore certamente non hanno fornito elementi inediti rispetto alle risultanze investigative. Aproposito della lettera con cui il boss ha tentato l’estorsione, inoltre, Antonio Scarfò ha affermato di aver saputo della missiva solo dopo l’omicidio del genero perché la moglie l’aveva consegnata direttamente a Congiusta senza informare il marito della richiesta di denaro avanzata dal clan Costa.
Alle domande serrate del pubblico ministero, Scarfò ha aggiunto di non aver mai parlato della lettera con Giuseppe Curciarello, ritenuto dagli inquirenti l’uomo di fiducia del boss, colui che avrebbe intrattenuto per conto di Tommaso Costa (detenuto in carcere) i rapporti con gli altri malavitosi della zona e con le vittime delle estorsioni.
Eppure stando a quanto riscontrato dalla Dda, nel carteggio epistolare tra Costa e Curciarello, quest’ultimo informa il boss di aver affrontato l’argomento con l’imprenditore. Questo, infatti, è uno stralcio della lettera che Curciarello ha inviatoa Tommaso Costa il primoaprile 2004:
“….Quanto al Rebus Scarfò, io ho parlato con lui direttamente, ti assicuro che di tutto quello che ti avevano mandatoa dire non esiste niente, mi riferisco al fatto che allora ti avevo detto che quando sarà il momento ci sarebbe stato il tuo, oggi lui è stato abbandonato, perché le cose gli sono andate male, poi tuo fratello, allora ha combinato un caos, risolvendo il tutto con due posti di lavoro, perché purtroppo, quando uno vede ad un passo dal piede e non vede altro, succede così. Comunque come esci tu ne parliamo…..”.
Il gup Cappuccio ha, infine, rinviato il processo al prossimo 19 maggio quando è prevista la requisitoria del pm De Bernardo.
LUCIO MUSOLINO
l.musolino@calabriaora.
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Rocco Muscari per Gazzetta del Sud
Locri
E’ iniziato ieri a Locri il processo per l’omicidio di Gianluca Congiusta, il giovane commerciante di Siderno ucciso nel maggio del 2005. Davanti alla Corte di Assise (presidente Bruno Muscolo a latere Fra botta), è chiamato a rispondere per l’assassinio del giovane imprenditore sidernese Tommaso Costa, “in concorso con altri soggetti non identificati”, mentre, il suo presunto braccio destro, Giuseppe Curciarello, deve rispondere solo di associazione a delinquere di stampo mafioso. Nel corso della lunga udienza protrattesi fino al pomeriggio, si sono costituite le parti civili che, per la prima volta in un processo di interesse pubblico, ne ha visto l’ammissione di ben dieci. Accanto ai congiunti di Congiusta, rispettivamente il padre la madre, assistiti dall’avvocato Giuseppe Sgambellone, le sorelle Roberta e Alessandra rappresentate dall’avvocato Femia. La Corte ha ammesso come parte civile anche la Regione Calabria (avvocato Nausei), la provincia di Reggio Calabria (avvocato Barresi), la Confindustria Calabria, ieri rappresentata dall’avvocato Spadafora, il partito “Italia dei Valori” (avvocato Saccomanno), l’associazione “Insieme si può” (avvocato Riccio), e l’Associazione dei comuni della Locride, avvocato Macrì. La Corte ha ammesso anche gli operatori del Tg 3 regionale che potranno effettuare riprese con la sola, importante eccezione della tutela della privacy in fase dibattimentale, quando le telecamere potranno riprendere i testi previo consenso degli stessi.
Assenti in aula i promessi suoceri di Gianluca Congiusta (che era fidanzato) che non hanno presentato la richiesta di ammissione in qualità di parte offesa.
Sulla costituzione delle parti il pm, Antonio De Bernardo della Dda di Reggio, non ha avuto nulla da eccepire. Al contrario il collegio di difesa aveva chiesto l’esclusione dalle parti civili delle associazioni e delle istituzioni. In particolare l’avvocato Maria Candido Tripodi, difensore di Costa, aveva sottolineato la mancanza della procura speciale a margine dell’atto con il quale la Regione e la Provincia hanno deliberato per in favore della costituzione. La difesa aveva sollevato dubbi sulla legittimazione della costituzione di Confindustria, sulla quale la Corte rilevava l’infondatezza “essendone derivata mancanza di investimenti da parte degli industriali sul territorio con consequenziale compromissione dello sviluppo turistico e delle attività produttive”. L’avvocato di Curciarello, Leone Fonte, ha posto dubbi sulla natura della richiesta di Italia dei Valori, e sull’ammissione dell’associazione “Insieme si può”: “siamo davanti ad una questione di opportunità e di etica, in quando il presidente dell’associazione è chiamato come teste dal pubblico ministero, perché ha condotto indagini sui nostri assistiti”. Eccezioni di legittimità sono state poste sulla costituzione dell’associazione dei comuni della Locride, la Corte ha disposto l’ammissione, che avviene per la prima volta, in quanto “l’ente promuove lo sviluppo democratico e il progresso civile nella fascia jonica, lo sviluppo del territorio e la promozione di iniziative produttive per favorire l’occupazione”, da queste premesse si è motivato che: “l’attività associativa di tipo mafioso e l’uccisione di Gianluca Congiusta hanno condizionato il territorio e compromesso l’immagine provocando danni al turismo e alle attività produttive dell’intero comprensorio”.
In apertura Tommaso Costa aveva lamentato la mancanza di interrogazioni in 14 mesi di carcere, chiedendo di essere presente fisicamente in dibattimento. Curciarello, invece, ha chiesto alla Corte di attendere alla registrazione televisiva integrale del dibattimento per rendere trasparente il processo.
L’udienza è stata aggiornata all’undici aprile.
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Processo Congiusta
Accolte le parti civili
Regione Caabria-Provincia di Reggio C.-Confindustria Calabria-Associazione Comuni della Locride-IDV-Associazione Insieme si può
LOCRI (RC)
Duello in punta di codice doveva essere e duello in punta di codice è stato. Nessuna bagarre, dunque, ma solo interventi tecnicamente ineccepibili e indicativi di quello che sarà il dibattimento.
Insomma, quello già che passa alle cronache come il processo per la morte di Gianluca Congiusta, assassinato il 24 maggio del 2005 a Siderno, sebbene l’indagine condotta fino al 2007 dal commissariato di Siderno riguardi una vasta organizzazione di tipo mafioso, afferma sin dalla prima udienza la propria
storicità.
E’ il processo a quel pezzo di mafia che sembrava sconfitta ed ha saputo rinserrare le proprie fila e tornare ad imperare, il processo che registra anche (è un piccolo record senza dubbio) molte costituzioni di parte civile:
tra i familiari di Gianluca Congiusta, enti pubblici e associazioni sono dieci.
La cronaca comincia con alcune dichiarazioni spontanee di Tommaso Costa, unico imputato per l’assassinio di Gianluca Congiusta (il secondo imputato, che risponde della sola associazione mafiosa è Giuseppe Curciarello, gli altri indagati sono stati giudicati in sede di rito abbreviato).
Costa, considerato oggi il capo dell’omonimo clan di Siderno, libera a viva voce in videoconferenza tutta la sua amarezza per avere visto in buona sostanza evase alcune richieste, la prima quella di potere parlare con il pubblico ministero Antonio Di Bernardo.
Appare adirato Costa, al punto che arriva a dire di non volere più parlare con nessuno, nemmeno con il suo legale di fiducia. Poi entrando praticamente nel merito delle accuse dichiara la sua innocenza ed estraneità ai fatti che gli sono contestati, in riferimento alla circostanza secondo la quale, stando alle prospettazioni accusatorie, l’imputato avrebbe fatto di tutto per tornare in possesso di terreni che invece Costa asserisce fossero dei suoi avi.
A quel punto, l’intervento dell’imputato è stato bloccato dal presidente Bruno Muscolo, in ragione del fatto che le dichiarazioni attenevano ad un momento del dibattimento che solo successivamente potrà avere concretizzazione.
Un altro segmento di udienza ha riguardato la ricezione da parte della corte di assise, come scritto presieduta da Bruno
Muscolo (giudice a latere Frabotta) delle richieste di costituzione di parte civile. Ed è stato questo l’argomento che ha tenuto banco: tanto delicato da richiedere solo quattro ore di camera di consiglio per decidere sull’accoglimento o meno.
La prima battaglia l’hanno vinta le parti civili: tutte ammesse.
Sul punto gli interventi dell’avvocato Maria Tripodi, difensore di Costa, e l’avvocato Fonti sono stati risoluti.
Dai banchi della difesa sono state lamentate, a seconda della provenienza della istanze,
mancata indicazione di procura speciale, la non legittimazione, l’invalidità dell’atto, le genericità delle finalità, la questione etica e la non opportunità.
Alla fine la corte ha ritenuto di ammettere tutte le richieste.
Il presidente Bruno Muscolo, anticipando che all’udienza dell’11 aprile, data alla quale è stata aggiornata il processo, sarà formalizzato il calendario del dibattimento, ha rinviato allo stesso giorno la trattazione di alcune eccezioni preliminari che saranno poste dalla difesa di Costa, rappresentata da Maria Tri- podi.
La cronaca ha registrato anche alcune dichiarazioni di Giuseppe Curciarello. L’imputato, intervenendo in ordine alla richiesta della Rai di seguire il processo, ha chiesto che la stessa non si limiti a spezzoni, ma segua per intero il processo, per consentire ai cittadini di conoscere ogni atto del processo: «Io che non sono imputato di omicidio, affermo questo diritto, perché la stampa ha scritto molto – ha affermato – e spesso mi sono trovato al centro delle cronache dei giornali, in particolare di Calabria Ora.
ENZO ROMEO
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Il padre: «Un bel gesto
Mi sento meno solo»
LOCRI (RC)- Le Marlboro gli fanno compagnia per tutta la giornata. Poche ore di sonno, “tre, più o meno”, dice al cronista. Tra una pausa e l’altra qualche caffè, nel tardo pomeriggio nel bar di piazza Fortugno la richiesta cambia, “meglio un orzo”.
La tensione c’è, ma la maschera bene Mario Congiusta. Si presenta puntuale, insieme al suo avvocato Pino Sgambellone.
Il giorno del processo è arrivato. Arriva anche il momento di incrociare gli sguardi con l’unico imputato presente in aula, Giuseppe Curciarello, accusato dal pm Antonio Di Bernardo di essere l’uomo difiducia di Tommaso Costa, colui sul quale pende l’accusa più pesante: avere deciso ed eseguito l’eliminazione di suo figlio Gianluca.
La tensione un pò si scioglie all’ingresso della corte: gli adempimenti sono tanti, è una buona occasione per distrarsi dal ricordo della tragedia. Congiusta è impassibile quando ascolta le dichiarazioni di Tommaso Costa, lo stesso atteggiamento quando parla Curciarello. La condotta è perfetta. Poi, quando lo scoglio dell’ammissione delle parti civili è superato ci confida: «Sai, uno si sente meno solo. Saluto con un senso di serenità l’ingresso di tutte le parti civile in questo processo. Mi fa piacere la costituzione dell’associazione dei Comuni, è un bel segno. Ma è chiaro che il mio ringraziamento va a tutti, la cui presenza è, ripeto per l’ennesima volta, fondamentale .
Sì, non sono stato lasciato solo. Non sai quanto faccia bene e aiuti a sperare per il futuro. Gianluca non me lo restituisce nessuno, ma queste cose non devono più accadere. Bisogna far capire alla gente che i giusti diritti non possono essere violati. Io sono qui per affermare questo. Adesso, processo a parte, servono risposte precise dello Stato in materia legislativa.
La certezza della pena deve essere un punto fisso e incancellabile.
Non ci possono essere sconti.
Il legislatore deve capire questa emergenza».
La sera cala sulla piazza, Congiusta lancia un sorriso in segno di saluto. Un sorriso largo, gratificato, che non cancella però quello che è stato e che tuttora è.
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'NDRANGHETA: CONGIUSTA, CONFINDUSTRIA E REGIONE PARTI CIVILI
E' cominciato a Locri, con l'ammissione di ben dieci parti civili, tra le quali
Confindustria Calabria e la Regione, il processo per l'omicidio di Gianluca Congiusta, il commerciante ucciso a Siderno il 24 maggio del 2005.
Per l'omicidio c'é un solo imputato, Tommaso Costa, considerato un boss della 'ndrangheta e l'esecutore del delitto. Nel processo è coinvolto anche Giuseppe Curciarelli, accusato di associazione mafiosa. omplessivamente la Corte d'assise di Locri, presieduta da Bruno Muscolo, ha ammesso la costituzione di dieci parti civili: oltre a Confindustria e Regione, quattro componenti della famiglia Congiusta, la Provincia di Reggio Calabria,
l'associazione dei Comuni della Locride, l'associazione Insieme si può, il partito Italia dei Valori. (ANSA).
en.ro.
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Siderno, 14.03.2008 | di al.ma.
Il fronte Congiusta
si allarga
Siderno, tante le costituzioni di parte civile al processo. RIvoluzione antimafia alla Provincia: sempre in aula per statuto
Le istituzioni in aula contro la ‘ndrangheta. Parti civili al processo sull’omicidio di Gianluca Congiusta, al fianco del padre Mario e della Fondazione che porta il nome del figlio. Dopo le polemiche iniziali – seguite alla decisione del comune di Siderno di non schierarsi in tribunale – l’appello a prendere posizione al processo Costa ha raccolto consensi numerosi. Tra le parti civili ci sono la Regione Calabria, la Provincia, l’Associazione dei comuni della Locride, ma anche la Confindustria Calabria, Italia dei valori e “Insieme si può”.
Non è più solo Mario Congiusta. Dal quel 24 maggio del 2005, quando Gianluca è stato assassinato a Siderno per una storia di estorsioni, il padre si batte per la verità e la giustizia. E al processo contro Tommaso Costa, presunto mandante dell’omicidio, saranno in tanti al suo fianco.“Un vero e proprio risveglio della società civile” dicono con fiducia ritrovata dalla famiglia Congiusta. Non dimenticano che “in un passato, anche recente, persino i congiunti delle vittime avevano timore di costituirsi parte civile”. Adesso non è più così. Tanti i fermenti, tra la gente e dentro le istituzioni. La Provincia di Reggio Calabria guida il fronte: è stata accolta la proposta di modifica allo statuto che renderà automatica la costituzione di parte civile ai processi di ‘ndrangheta. Un passo in avanti decisivo. Un esempio da emulare.
Una nuova prassi istituzionale, un nuovo modello di amministrazione contro la ‘ndrangheta. Una iniziativa che non deve restare isolata, come l’azione d’avanguardia di Peppino Lavorato. Negli anni 90, il sindaco di Rosarno decise di far costituire il comune parte civile al processo Porto. Con coraggio, decise anche di richiedere il risarcimento dei danni in sede civile. Lo scorso luglio una vittoria inaspettata: le cosche Piromalli e Pesce dovranno sborsare 9 milioni di euro. Un giudice ha decretato che la mafia è dannosa e deve risarcire la comunità rosarnese. Un’arma vincente contro i patrimoni dei boss, un’arma che nessuno impugna.
Ma la lotta alla ‘ndrangheta, i Congiusta ne sono convinti, passa attraverso una scelta politica precisa. Servono nuove leggi contro le mafie che “consentano di pervenire, attraverso un giusto processo, alla certezza ed alla effettività della pena”. Senza “sconti benefici e quant’altro”, scappatoie legali che smorzano “l’operosità sia delle forze dell’ordine che della magistratura”. In altre parole, se la ‘ndrangheta non resterà impunita, potrà essere sconfitta davvero. Con l’aiuto della gente.