Processo Congiusta. Il papà della vittima all’ex consuocera:”Dica tutto quello che sa”
Verità contese,scintille in aula

Per Raso accompagnamento coatto, dubbi sul certificato medico
di PINO LOMBARDO per il Quotidiano
LOCRI 3 gennaio 2009 –
Scintille in aula nel processo sull’assassinio di Gianluca Congiusta che vede imputati Tommaso Costa e Giuseppe Curciarello in Corte d’Assise di Locri presieduta dal giudice Bruno Muscolo nel corso dell’audizione dei testi Pasquale Congiusta, Mario Congiusta e Gerolamo Raso, c’è stato anche il richiesto confronto tra i tre. Il confronto, che è stato acceso in molte occasioni, soprattutto quello tra Mario Congiusta e l’ex consuocera Raso.
Due le novità. La prima che alle 18,30 del 22 maggio, due giorni prima del delitto, Gianluca si trovava a Siderno in casa del consigliere regionale Cosimo Cherubino, e che la sera del 24 maggio, il giorno in cui venne ucciso, aveva partecipato a Siderno ad una riunione politica indetta dal politico. La seconda ha riguardato l’incontro che, il mattino del giorno in cui l’imprenditore venne assassinato, Girolama Raso ebbe con Gianluca nel negozio di telefonia per chiarire le voci secondo cui il giovane avrebbe avuto una relazione con un’altra donna, dalla quale aveva avuto una figlia. Questo il filo conduttore che ha caratterizzato l’udienza di ieri nel corso della quale la Corte, col consenso delle parti, ha anche acquisito il “memoriale” che Mario Congiusta depositava il 5 ottobre 2005 presso la Procura di Locri e nel quale indicava quanto da lui venuto a sapere compresa l’esistenza della lettera minatoria ricevuta dalla Raso e da dove emergeva che l’autore era Costa. L’udienza si apriva con la ordinanza della Corte di far condurre dalla Polizia in aula Girolamo Raso, dal momento che, convocata per essere risentita su alcune circostanze contraddette dai testi Pasquale Congiusta e dallo stesso Mario Congiusta, non si era presentata inviando il 2 febbraio un certificato medico redatto da un “reumautologo” certificante che si trovava in un grave stato depressivo, (il certificato, poi, visto che in aula la signora non manifestava stati depressivi, su richiesta del Pm veniva trasmesso alla Procura per gli adempimenti ritenuti opportuni). In attesa del suo arrivo la Corte sentiva Pasquale Congiusta, cognato della vittima. Il teste, rispondendo alle domande della Corte, a quelle poste dal sostituto procuratore della Dda, Antonio De Bernardo, e dai legali degli imputati, Maria Candida Tripodi e Leone Fonte, affermava che dopo l’assassinio del cognato lui aveva parlato con la Raso in due circostanze: la sera in cui veniva effettuata l’autopsia del cognato ed una seconda volta “circa due settimane dopo”. Inoltre riferiva che avendo notato che il cognato quel mattino era “preoccupato, non era come al solito”, si era recato presso il suo negozio per chiedergli cosa gli fosse accaduto e che in quella circostanza, andando via, aveva incontrato la Raso che entrava nei locali. In quei due incontri, avvenuti entrambi in casa Congiusta, il primo in giardino e il secondo in cucina, Pasquale Congiusta chiese alla signora il motivo della sua visita a Gianluca, nonché se collegasse i danneggiamenti da lei subiti e denunciati con quel delitto. Rispetto alla prima domanda la signora affermava di essersi recata da Gianluca per chiarire le voci circolate a Siderno su una relazione con una donna. Per il resto la signora diceva di non sapersi spiegare il motivo e nel frattempo raccontava degli attentati subiti: incendio auto, ricevimento di una busta contenenti proiettili. Al presidente che domandava se gli avesse riferito anche della lettera estorsiva in cui veniva indicato il nome di Costa, Pasquale Congiusta rispondeva con un deciso “No”. Dell’esistenza di quella lettera lo venne a sapere a fine luglio-agosto “da mio suocero, Mario Congiusta, che a sua volta lo aveva saputo da Katiuscia, fidanzata di Gianluca e figlia della Raso e disse che sapeva di quella lettera di minacce ma che non aveva letto perchè era custodita nella cassaforte del padre”. Circostanza questa confermata anche da Mario Congiusta. Rispondendo alle domande del presidente Muscolo, del pm De Bernardo, dei difensori, Tripodi e Fonte e dei legali di parte civile, Femia e Macrì, sostanzialmente evidenziava che lui della missiva minacciosa lo apprese da Katiuscia che incontrava successivamente tra “l’uno ed il dieci agosto 2005, nel negozio” del figlio. Fu allora che invitava la Raso a recarsi alla Polizia a denunciare il fatto. E poiché a quell’invito – continuava Congiusta – la signora rispondeva “io queste cose non le faccio”, fu lui che informava la polizia “nell’immediatezza, quella stessa sera o il giorno dopo”. Di diverso parere Raso. Da quanto affermato, dopo l’uccisione di Gianluca, aveva parlato della lettera con Pasquale Congiusta, con i propri figli, tranne che con Katiuscia, e col marito Antonio Scarfò. Inoltre dichiarava che con Mario Congiusta non parlò mai di recarsi dalla polizia per denunciare la circostanza ma che tale invito “il signor Mario me la faceva tramite mia figlia Katiuscia”. A stimolare la Raso a non recarsi dalla polizia furono sostanzialmente due motivazioni. La prima perchè aspettava che la polizia la convocasse e perchè non riteneva che la missiva c’entrasse con l’assassinio del giovane, “non si può ammazzare per una lettera”. E poi per una sorta di “dispetto” nei confronti di Mario che anzichè chiamarla le mandava a dire cosa doveva fare con la figlia. “Io in casa mia faccio quello che penso io” affermava Raso.