LA GRANDE MADRE
Il bene e il male sono comprensibili soltanto se riconosciamo in noi stessi, come essere umani, le loro radici. Bene e male fanno entrambi parte della natura umana, sono gli opposti necessari alla sua stessa esistenza. A volte essi non sono in equilibrio: uno può prevalere sull’altro oppure uno si confonde nell’altro.
Quando ogni uomo e donna può giungere ad un suo individuale sviluppo, questi due principi diventano equilibrati e riconoscibili nelle loro differenze e l’individuo può attuare delle scelte di vita. Solo allora è possibile differenziare i rapporti tra gli esseri umani in buoni e cattivi.
Questo processo di sviluppo individuale è assente nella mentalità della ‘ndrangheta, della mafia e della camorra. Gli “affiliati”non sono soggetti maturi e autonomi, capaci di idee e di giudizi personali. Essi sono scarsamente differenziati come persone e profondamente identificati con il gruppo di appartenenza, isolati dalla società che avvertono come ostile e fuori dalla loro portata. Sono insicuri di sé e non possono fare a meno di una protezione che viene loro offerta da un particolare sistema sociale e di rapporti extralegali, che prendono il nome di ‘ndrangheta, mafia, camorra.
La mentalità di queste organizzazioni sembra apparire vistosamente maschilista, ma ad un’analisi più approfondita, essa svela un orientamento relazionale e sociale ispirato a valori di tipo materno familistico. Questa morale materna non riconosce regole, leggi né un principio sovra personale e uguale per tutti, ma solo il legame personale, di appartenenza e di sangue. La ‘ndrangheta, così come la mafia e la camorra hanno le loro radici profonde nell’uomo. C’è una simbiosi mortale con un principio materno che invece di muovere verso lo sviluppo del figlio, esige da lui un legame esclusivo e personale, fino alla morte. Questo principio materno può essere identificato con quella che Jung, il famoso psicoanalista di Zurigo, chiama la Grande Madre. Il prevalere dell’orientamento maternalistico si può spiegare inoltre con l’influenza della Grande Madre Mediterranea, la dea primitiva che esisteva, sia nel bene che nel male, solo in funzione dei figli e che teneva sotto il suo dominio la vita e il destino degli uomini: un tempo era la divinità Cibele, Astarte, Iside, Demetra. Essa vive ancora oggi nell’inconscio degli uomini. La vita degli uomini dominati nell’inconscio da questo archetipo primordiale, non è vissuta come scelta e come conquista personale, ma solo come dono materno e ciò evoca l’aspetto ineluttabile della Madre divina, per cui nascere significa sottostare alle sue leggi, così come per il bambino piccolo accade. In una fase primitiva di sviluppo della coscienza, la vita umana dipende dalla terra e dalla natura. I miti e le religioni delle dee madri sono strettamente connessi con l’agricoltura, la vegetazione e i riti di fecondità. La Grande Dea è la madre onnipotente, che rappresenta il destino per il figlio, piccolo e bisognoso. Essa dispensa ogni forma di vita e di morte. È la forza primordiale della natura, che si manifesta sia nel dare che nel togliere la vita, la Terra Madre da cui tutto comincia e in cui tutto finisce. Il suo utero fecondo è anche un sepolcro, che divora tutto ciò che ha generato. Sia come dea delle religioni matriarcali, sia come figura archetipica nell’inconscio dell’uomo moderno, la Madre dispensa vita e beatitudine, ma anche terrore, castrazione, morte. Nella forma indifferenziata di questo Grande Femminile archetipico i contrari, come bene-male, vita-morte, femminilità-mascolinità, non sono ancora differenziati, per cui non solo essa com-prende in sé ogni aspetto del generare, nutrire e uccidere, come nel ciclo stagionale della natura, ma anche il maschile e il femminile sono fusi insieme. Chi è soggiogato ad essa non apparterrà che ad essa e vivrà solo in funzione di figlio-amante, senza poter mai sviluppare una coscienza dell’Io e differenziarsi così dalla natura e dal mondo. Gli amanti delle Dee Madri dei miti e delle religioni antiche si assomigliano tutti: Tammuz, Attis, Adone, sono adolescenti bellissimi, destinati però a essere uccisi, smembrati o castrati per fecondare la terra e ad essere consacrati alla Grande Madre nelle feste della fertilità. Il terrore che incute la Grande Dea nasce dalla sua oscurità, eterna e misteriosa, dall’assoluta imprevedibilità del suo creare e distruggere. La fase iniziale di sviluppo di ogni uomo è governata dall’immagine della Dea Madre, sia come forza inconscia strapotente, sia come imprevedibilità del mondo. Il bambino, come lo fu l’uomo primitivo, dipende da essa come sua creatura ancora inerme e bisognosa. In questo stadio la madre è tutto e l’uomo esiste solo come suo figlio. La vita è un dono che la madre può riprendersi in qualsiasi momento, indipendentemente dalla volontà del figlio. È questa dimensione che il figlio della ‘ndrangheta, della mafia, della camorra vive e perpetua nella vita e qualsiasi sviluppo di coscienza, di differenziazione e separazione da essa è escluso. Soltanto diventare se stessi, separarsi, affrontare il doloroso “essere posto in contrasto”, possono far nascere la coscienza e la conoscenza. Attraverso la memoria della storia e degli eventi che raccontano questo percorso doloroso di identità personale e distacco dalla cultura di morte della Grande Madre è possibile emanciparsi e restituire alle generazioni future la possibilità di sviluppare una coscienza autonoma e una dimensione di vera vita. Anche la memoria è per questo una lotta, interiore prima di tutto, che si riverbera all’esterno come lotta sociale e culturale.
Giusi Marruzzo