Don Ciotti: “Siamo tutti mafiosi”
Scritto da Felice Piemontese
Il fondatore di Libera attacca anche Cilberti & company, assenti all’incontro
Don Luigi Ciotti non è un sacerdote come tutti gli altri. Forse, ha qualcosa di più. Nato nel
È stato presente alla quinta edizione di FestambienteSud nel dibattito di chiusura del festival, svoltosi il 25 luglio in Piazza de Galganis a Monte Sant’Angelo all’interno della giornata “Io non sono mafioso”.
“Com’è possibile che ci sia una tomba in Italia con una ragazza che da 17 anni non ha un nome? Non siamo mafiosi? Ebbene io dico che siamo tutti mafiosi!” così inizia a parlare Don Luigi Ciotti parlando di Rita Atria. Si tratta della storia di una ragazza diciassettenne siciliana vissuta in una famiglia mafiosa con il padre ed il fratello uccisi. Fu infamata dalla famiglia e dai suoi amici che scrissero anche sui muri “Rita = Infame” perché, sulle orme della cognata, divenne testimone di giustizia. Ebbe un secondo padre di cui scelse di seguirne le orme, si trattava del giudice Paolo Borsellino che tra l’altro, raccolse le sue dichiarazioni. Il noto magistrato ci teneva così tanto a lei che spesso, chiedeva alla moglie Agnese di darle regali allo stesso modo come faceva per il figlio e le due figlie. Lei scrisse nel suo diario “La prima mafia da combattere è quella che c’è dentro ognuno di noi”. Visse paradossalmente in Via d’Amelio a Roma e, dopo una settimana dal 19 luglio 1992, data in cui ci fu la strage che uccise il magistrato insieme alla sua scorta, si gettò dal terzo piano. Al funerale la sua bara fu portata solo da un gruppetto di donne e subito dopo distrutta; fu rinnegata dalla famiglia anche da morta. Il 26 luglio Don Luigi Ciotti è stato a Roma per celebrare i 17 anni dalla morte di Rita. “Non c’è tempo da perdere. – afferma – Sono sicuro che Dio quel giorno se l’è abbracciata stretta”. Poi attacca la Giunta (nessun amministratore era presente al dibattito) invitandola, quasi provocatoriamente ad intitolare veramente una delle strade o piazze del paese ad una delle vittime della mafia. “Le parole non bastano, devono diventare carne.” Ed ancora un attacco alla Chiesa “La Chiesa per il mondo e non per se stessa. – afferma – A difendere la Chiesa ci pensi solo lo Spirito Santo e nessun altro. Noi – dice – siamo chiamati a difendere i poveri, gli ultimi e a batterci per le rivalità e le ingiustizie”.
Ed ai cristiani: “Due cose non possono fare dei buoni cristiani: obbedire alle ingiustizie e rendersene complici direttamente, per delega o per indifferenza. Il buon cristiano non può semplicemente raccontare i principi generali della fede, ma deve entrarci dentro come attivo protagonista”. E qui ci sono stati lunghi e prolungati applausi da parte di un pubblico che, commosso si alza anche in piedi per rendere omaggio al sacerdote impegnato da anni per la lotta contro la mafia.
Al termine del dibattito abbiamo l’occasione di dialogare per qualche minuto con Don Ciotti. Gli chiediamo subito qual è il consiglio che lancia ai giovani. “Tutti – dichiara – devono avere il coraggio di denunciare ciò che non va perché il cambiamento fa parte di ciascuno di noi. Le associazioni, le scuole, le fondazioni e gli altri gruppi. Ognuno, deve assumersi la sua parte di responsabilità ma c’è, allo stesso tempo, un grande bisogno di corresponsabilità. – poi afferma – Il NOI è la parola chiave. Ma la vocale non è la O bensì la E; non dobbiamo rimanere un gruppo chiuso, dobbiamo essere: io E tu E lui ecc..”.
Poi, la domanda tipo per le persone così coraggiose come Don Luigi. Non hai paura? Beh, seccamente ci risponde: “No. Ho più paura dell’indifferenza e delle parole della gente. C’è troppa superficialità e veramente poca profondità. Tutto dovrebbe essere approfondito”.
E proprio a Don Luigi Ciotti è stato assegnato un riconoscimento dalla direzione del festival. La dedica? Eccola: “A Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, una vita per la legalità, contro le mafie, ha creato una organizzazione capillare di donne e uomini, speranze e dolori, ergendo un argine morale e fattivo contro lo strapotere delle cosche”.