I tentativi della difesa e la tesi del pm
Una pista alternativa tra storia boccaccesca e sangue di mafia
Di Michele Inserra
LOCRI – Una storia con uno sfondo boccaccesco che potrebbe rappresentare un possibile movente di un delitto. E’ così che la difesa passa all’attacco tra domande dirette e a volte insistenti per cercare sostegno nella risposte di un teste. Ma la risposta è secca: “Escludo una relazione sentimentale tra mia moglie e la vittima”. La pista passionale quella su cui punta la difesa di Tommaso Costa, il principale imputato del processo sull’assassinio di Gianluca Congiusta viene imboccata a più riprese durante la testimonianza in aula di Antonio Genovese, il commerciante di pneumatici di Siderno. La moglie, Rosa Figliomeni avrebbe intrattenuto una relazione con la giovane vittima.
Un possibile movente, come quello dell’usura, che le indagini degli agenti del Commissariato di Siderno, hanno poi escluso. Ma il legale dell’imputato, Maria Candida Tripodi, non si da per vinto e tenta in qualche modo di riaprire la pista passionale. E insiste anche su un altro punto: una videocassetta vista la sera del delitto da Genovese e la moglie nella loro casa di contrada Donisi. Un film di cui il teste dice di non ricordare il titolo e la trama. Un aspetto su cui la difesa insiste oltremodo, tanto da far intendere che non si tratterebbe di una normale pellicola cinematografica. Di che si tratta allora? Per ora resta un mistero. Aldilà di ogni supposizione la difesa si trova a dover fare i conti, però, anche un pubblico ministero, Antonio De Bernardo, che sulla scorta degli elementi investigativi, realizza un castello accusatorio che parte da un concetto semplice: chi è stato ucciso dalla ‘ndrangheta è una vittima della ‘ndrangheta. Per gli inquirenti l’assassino di Congiusta ha un volto e un nome: Tommaso Costa. Il boss sidernese avrebbe deciso di uccidere il commerciante per punire quello che riteneva fosse uno sgarro. La vittima si era adoperato per tutelare il futuro suocero, Antonio Scarfò, da un’estorsione imposta da Costa. La lettera estorsiva era finita nelle mani di uomini del clan rivale dei Commisso. Costa avrebbe così decretato la fine di Congiusta, anche temendo la vendetta del clan avverso, uscito vincitore dalla guerra degli anni Novanta e l’apertura di una nuova faida. Un delitto, insomma, che sarebbe dovuto servire da monito.
De Bernardo, che comunque sembra non lasciare nulla al caso e non dare mai nulla per scontato, ha dalla sua parte non solo una esperienza maturata sul campo. Lui casertano d’origine, mette anche in conto che la ‘ndrangheta, come la camorra, pone in essere tentativi subdoli per delegittimare una figura socialmente nota. Come era avvenuto nella terra del pm, dopo l’uccisione nel 1994 di don Peppino Diana, che da martire della battaglia antimafia era stato elevato a custode di armi di clan e protagonista di storie a sfondo sessuale.