Processo Congiusta,confronto in aula

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Katia Scarfò faccia a faccia con il padre e la sorella della vittima.Sarà sentito pure il pentito Novella

Congiusta, confronto in aula

La fidanzata avanza per la prima vilta il nesso tra le minacce ed un’assunzione

«Non ho mai detto che la lettera di minacce era nella cassaforte di casa mia». Lo ha detto e ribadito più volte Katiuscia Scarfò, la fidanzata di Gianluca Congiusta, ieri in aula per il doppio confronto con la sorella e con il padre della vittima.
Al centro del faccia a faccia due punti che in dibattimento hanno trovato spesso discordanze nelle dichiarazioni dei teste: da una parte Roberta Congiusta, sorella dell’imprenditore ucciso a Siderno il 24 maggio del 2005, che aveva affermato di avere appreso di una lettera minatoria ricevuta dalla famiglia Scarfò e custodita nella cassaforte di casa, circostanza questa appresa proprio da Katia Scarfò, che ieri ha negato ogni cosa come già fatto in precedenza: «ho detto di sapere di una lettera – ha ribadito l’ex di Congiusta – ma io della cassaforte non ho mai parlato, mio padre non sapeva nulla delle minacce». Il secondo punto su cui le dichiarazioni dei testimoni hanno trovato divergenze riguardava le intimidazioni subite negli anni dall’impresa della famiglia Scarfò, che, secondo quanto aveva ipotizzato la stessa Katia Scarfò confidandosi con Roberta Congiusta qualche anno prima dell’omicidio, potevano essere riconducibili ai Costa che pretendevano l’assunzione di uno di loro nell’impresa della famiglia Scarfò. Ma questa ipotesi, confidata solo alla famiglia della vittima, la ragazza dell’imprenditore ucciso non l’aveva mai confermata né agli inquirenti, né in udienza davanti alla Corte d’Assise. Lo ha fatto ieri però, dando ragione su questo punto a quanto aveva riportato Roberta Congiusta: «Non potevo essere sicura – ha detto Katia Scarfò – le mie erano solo ipotesi, non potevo dichiarare senza prove che dietro l’assunzione di Pietro Costa nell’azienda di mio padre ci fossero le minacce e le intimidazioni alla mia famiglia. Ora lo posso dire con certezza».

C’è un intero processo da decidere dietro la lettera ricevuta dalla famiglia Scarfò due anni prima dell’omicidio di Gianluca Congiusta, una missiva di cui, secondo quanto dichiarato da tutta la famiglia Scarfò, il suocero dell’imprenditore sidernese Antonio Scarfò, titolare di un’azienda di forniture di macchine per la ristorazione, sarebbe stato all’oscuro. Una lettera che la madre di Katia avrebbe portato da Gianluca Congiusta per sapere cosa fare, tenendo fuori dalla questione il marito. Una lettera che si è ipotizzato potesse essere nelle mani del giovane imprenditore, che proprio per questa lettera potrebbe avere trovato la morte, per essersi interessato nel risolvere i problemi del suocero. Ma per ora restano solo ipotesi. Come solo un’ ipotesi e non più una certezza è divenuta per Katia Scarfò la circostanza che voleva Gianluca Congiusta aver fotocopiato nel suo ufficio quella missiva. Nel confronto con il padre della vittima, Mario Congiusta, la ragazza di Gianluca ha fatto un passo indietro: «Avevi mai visto la lettera?», ha chiesto durante il faccia a faccia Mario Congiusta alla giovane. Alla negazione della teste il padre della vittima ha ribadito: «Allora come fai a dire che Gianluca fotocopiò la lettera se non l’hai vista?». Katia Scarfò ha ammesso di non essere più sicura che la copia fatta fosse della missiva, ma di averlo supposto perché Gianluca Congiusta gli aveva riferito che la madre si era recata da lui per parlargli delle minacce e della lettera, quindi, avendolo visto fare una fotocopia aveva pensato si trattasse della missiva. Ma ora nessuna certezza. Intanto è stato stabilito ieri dalla Corte che al processo Congiusta verrà sentito il pentito Domenico Novella. Il collaboratore di giustizia dovrà riferire su ciò che conosce dei rapporti tra le cosche di Locri e quelle di Siderno, notizie queste apprese da altri soggetti nel periodo in cui era attivo all’interno della cosca Cordì. L’escussione di Novella è prevista per la prima udienza di giugno. Ieri il pubblico ministero Antonio De Bernardo ha chiesto anche di poter acquisire agli atti l’ordinanza dell’operazione “Mistero”, condotta dai carabinieri contro il presunto assassino di Pasquale Simari, ucciso a Gioiosa Jonica il 26 luglio del 2005, ed altri soggetti.
Fonte: il Quotidiano
Articolo di Pasquale Violi