Sulle cosche di Locri e Siderno piombano le dichiarazioni del pentito Domenico Oppedisano

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Sulle cosche di Locri e Siderno piombano le dichiarazioni del pentito Domenico Oppedisano
La pace siglata a casa di don Pepè
Incontro tra Attilio Cordì e il boss storico. Salvatore Cordì uccise Giuseppe Cataldo


di MICHELE INSERRA
LOCRI – La pace è stata siglata a casa di don Pepè Cataldo.
Qui si è recato Attilio Cordì, figlio del defunto mammasantissima Antonio “u ragiuneri”, finito in manette nell’operazione “Shark”, quella che ha decapitato il clan rivale dei Cataldo
E’ quanto sostiene il collaboratore di giustizia, Domenico Oppedisano, meglio noto come “Mimmo”, il gioielliere di 58 anni, fratellastro del boss Salvatore Cordì, ammazzato il 31 maggio del 2005.
E’ un particolare non trascurabile quello contenuto nel verbale stilato il 6 maggio a Roma alla presenza del procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone, del procuratore aggiunto Nicola Gratteri e del sostituto procuratore della Repubblica Antonio De Bernardo.
Dopo 25 anni di sangue la tregua armata tra le famiglie Cordì e Cataldo risale al
4 luglio 1993. La faida prende le mosse dalla la strage di piazza Mercato del 23 giugno 1967, nella quale furono
uccise tre persone tra cui il boss Domenico Cordì.
L’atmosfera di calma apparente si interrompe, a Locri, col tentato omicidio (una bomba dentro l’auto scagliata da un motoclista) di Giuseppe “Pepè” Cataldo, classe 1938, capo storico del clan ed elemento di spicco della ndrangheta calabrese, alleato ed amico dei vertici di cosa nostra e della camorra.
È l’inizio della faida, nonostante il boss Cataldo finisca in carcere a seguito delle pesanti accuse rivoltegli
da alcuni pentiti.
Oggi Oppedisano rivela una circostanza che è più di una semplice notizia. “Adesso, però – ha raccontati ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia – le due famiglie si sono riavvicinate, noto alcune persone di una famiglia frequentare posti o esercizi commerciali riconducibili all’altra famiglia, cosa altrimenti non possibile. Per esempio di recente Attilio Cordì ha fatto visita a Pepè Cataldo presso la sua abitazione. E’ evidente da tutti questi segnali che ora regna la pace e non ci sono pericoli”.
L’omicidio Cataldo
Botta e risposta. Tutto in tre mesi. A metà febbraio del 2005 Salvatore Cordì, ‘u cinesi, uccide a Locri Giuseppe
Cataldo. Arriva la vendetta.
Il sangue si lava con il sangue. Il 31 maggio dello stesso anno i Cataldo eliminano a Siderno il boss Salvatore Cordì.
“Circa l’omicidio di mio fratello Salvatore devo aggiungere che le notizie che mi vennero date da Salvatore Salerno, e poi confermate anche a mio fratello, riguardavano la preparazione di un attentato nei confronti di mio fratello Salvatore il cui mandante era Antonio Cataldo, il quale sapeva di essere nel mirino dei Cordì dopo la morte di Giuseppe Cataldo.
Circa l’omicidio di Giuseppe Cataldo – prosegue il racconto del collaboratore di giustizia – posso dire che senz’altro vi è stata una responsabilità di mio fratello Salvatore, perchè io gli chiesi espressamente se era stato lui ad ammazzarlo e nonostante il suo atteggiamento evasivo, siccome lo conoscevo bene, capii che era stato lui; d’altra parte Giuseppe Cataldo era appena uscito dal carcere ed era l’elemento più pericoloso della cosca Cataldo.
Il ruolo di Salerno
Oppedisano ad un certo punto sposta l’attenzione su Salvatore Salerno, ammazzato a Siderno nell’ottobredel 2006. “Ritornado al Salerno – spiega Oppedisano – questi mi disse che in un primo momento era stato avvicinato da Francesco Cataldo,fratello di Antonio, affinchè si potesse fare l’omicidio di mio fratello in Siderno; Salernoaveva risposto che non era possibile, ma in quella occasione aveva comunque appreso che il mandante era Antonio Cataldo – cosa peraltro notoria – e che con l’omicidio di mio fratello si sarebbe vendicata la morte di Giuseppe Cataldo e quella del cognato di Curciarello Michele, tale Caccamo (Pietro, ndr), figlio di Michele Cataldo.
Devo aggiungere che io compresi, dalla descrizione fattami da un testimone, che il conducente del veicolo dove erano i killer di mio fratello era Martino anche perchè mio fratello, in epoca antecedente all’omicidi, mi disse che si sentiva controllato da Curciarello Michele e dal Martino Antonio, anche se nondiede molto peso alla cosa.
Credo che le notizie apprese da Guido Brusaferri da parte dei Commisso fossero più o meno dello stesso tenore”.