Processo Congiusta-Parla il pentito Oppedisano

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«Volevano farmi testimoniare il falso»
Contestata al presunto killer Costa l’aggravante della premeditazione

Domenico Oppedisano

Rocco Muscari
Locri
Domenico Oppedisano ha deciso di collaborare con la giustizia dopo una crisi di coscienza, seguita alla richiesta di alcuni parenti che lo avrebbero “invitato” a dichiarare il falso circa i rapporti «di amicizia» tra il fratellastro, Salvatore Cordì, ucciso a Siderno il 31 maggio 2005, e Michele Curciarello, ritenuto l’esecutore materiale del delitto. Una decisione, quella di collaborare con i magistrati della Dda di Reggio Calabria, che il 58enne ha assunto il 6 maggio scorso dopo un’udienza con il vescovo metropolita di Campobasso, mons. Giancarlo Bregantini, tanto che a chiamare il questore della città molisana sarebbe stato proprio l’ex vescovo della diocesi di Locri-Gerace a conclusione dell’incontro con Oppedisano. Che subito dopo ha iniziato a rendere dichiarazioni spontanee al dott. Farinacci, capo della Mobile.


I particolari sono stati forniti dal collaboratore di giustizia all’udienza del processo per l’omicidio di Gianluca Congiusta, avvenuto il 23 maggio 2005, nel corso della quale Oppedisano, rispondendo alle domande poste dal pm Antonio De Bernardo, ha ricostruito la sua vicenda iniziando dal marzo scorso quando due emissari della cosca Cordì lo avrebbero invitato ad esporsi davanti alla Corte d’assise di Locri per deporre a favore di Michele Curciarello: «Dopo una settimana passata a fumare e vomitare – ha dichiarato il teste – ho deciso di rappresentare tutto quello che sapevo ai magistrati e, una volta giunto a Campobasso, mi sono rivolto a monsignor Bregantini. Il vescovo, dopo avermi ascoltato, mi ha invitato a continuare nel mio pentimento».
Domenico Oppedisano, in video collegamento, ha dichiarato di prendere le distanze dalla famiglia Cordì: «Non sono mai entrato a far parte dei loro affari – ha detto il 58enne – anche se hanno cercato di impormi una falsa testimonianza per il fatto che mio fratello Salvatore veniva sempre a trovarmi a Siderno. Di conseguenza hanno cercato di far passare l’ipotesi che i Curciarello sono estranei al delitto, anche se ho sentito dire nella mia ex famiglia che “se li prendono se li mangiano vivi”».

Secondo il collaboratore, «tutto questo credo rientri in un accordo tra cosche, stretto tramite degli avvocati, che ha portato alla pace tra i Cataldo e i Cordì siglata da tre anni».

Estraneo a tutto questa vicenda sarebbe l’assassinio di Gianluca Congiusta.

Il collaboratore, infatti, ha tenuto a precisare che le sue dichiarazioni riguardano il contenuto di un colloquio intercorso con Congiusta circa una settimana prima dell’omicidio: «Con Gianluca – ha ricordato – ci conoscevamo dai tempo in cui io avevo una gioielleria nel centro di Siderno, a quaranta metri di distanza dal suo negozio. Ricordo – ha aggiunto Domenico Oppedisano – che pochi giorni prima del delitto ci siamo incontrati per caso davanti all’ufficio postale e lui mi ha raccontato di un diverbio avuto con Giuseppe Curciarello, il quale gli ha chiesto di sollecitare il suocero a pagare quando richiesto».

Il collaboratore, quindi, ha collegato quel diverbio alla richiesta estorsiva perpetrata da Tommaso Costa, presunto organizzatore ed esecutore materiale dell’omicidio dell’imprenditore, ai danni di Antonio Scarfò, del futuro suocero di Congiusta, aggiungendo che la vittima gli avrebbe riferito che «mio suocero glieli dà i soldi, ma loro vogliono mangiare con due bocche, cioè non si accontentavano e volevano di più».

Nel corso della testimonianza di Oppedisano i difensori degli imputati, avvocati Dario Grosso e Leone Fonte per Giuseppe Curciarello, accusato solo del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, e Maria Tripodi, per Tommaso Costa, hanno fatto rilevare che il teste, nel verbale dichiarativo, richiama anche il nome di Salvatore Salerno, ucciso a Siderno nell’ottobre 2006 mentre si trovava a cavallo.
Il collaboratore, in effetti, ha ricordato che Congiusta, nel corso del loro incontro, gli aveva esternato la volontà di andare a trovare un “amico” per cercare di chiudere la vicenda estorsiva ai danni di Scarfò: «Da quanto ho capito io – ha riferito in aula Oppedisano – credo che Gianluca intendesse rivolgersi a Salerno, con il quale aveva rapporti di conoscenza ma non certo di amicizia, ma non sono certo che sia effettivamente andato a trovarlo».
In chiusura d’udienza il pm De Bernardo ha chiesto alla Corte di aggiungere ai capi di imputazione nei confronti di Costa anche il reato di premeditazione nell’omicidio.

La Corte d’assise (presidente Bruno Muscolo, a latere Piecarlo Frabotta) ha accolto la richiesta della Procura, mentre ha rigettato tutte le eccezioni formulate dai difensori. La prossima udienza si terrà l’8 novembre, data in cui le difese possono formulare nuovi capitolati di prova in merito all’ipotesi della premeditazione.

Stabilite, infine, le date della discussione: inizio il 29 novembre con la requisitoria dell’accusa; dopo gli interventi delle altre parti, la camera di consiglio è annunciata per il 13 dicembre.