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Omicidio Congiusta le parti civili puntano sulla “logica” mafiosa
Rocco Muscari
Locri
“La causale dell’omicidio di Gianluca Congiusta è univoca, esclusiva e proporzionata alla mentalità mafiosa dell’imputato, Tommaso Costa, nei confronti del quale chiediamo sia affermata la responsabilità penale, per come richiesto dal pubblico ministero, e quella civile del pagamento dei danni arrecati alle persone offese”.
È quanto ha affermato l’avvocato Giuseppe Sgambellone concludendo la discussione davanti alla Corte d’assise di Locri nell’interesse di Mario e Donatella Congiusta, genitori del giovane imprenditore sidernese, costituitesi parte civile insieme alle figlie Roberta e Alessandra, alla Confindustria Calabria, all’Associazione dei Comuni della Locride, al partito Italia dei Valori, alla Provincia di Reggio Calabria, all’associazione “Insieme Si Può” e alla Regione Calabria.
L’avvocato Sgambellone ha rilevato che Tommaso Costa, ritenuto l’organizzatore e l’esecutore materiale del delitto commesso la sera del 24 maggio 2005, ha manifestato già nelle lettere inviate quando era detenuto nel carcere di Palmi l’intenzione di perseguire l’obiettivo di occupare una posizione di rilievo nel contesto delle organizzazioni criminali di Siderno, attraverso un piano strategico determinato all’occupazione di spazi in favore dell’omonima consorteria ‘ndranghetistica, tessendo alleanze e puntando a riprendere un ruolo attivo anche nel controllo del territorio.
“L’egemonia sul territorio di riferimento – ha sottolineato il difensore -, comprendeva, nel piano di Costa, anche l’estorsione ai danni di Antonio Scarfò, futuro suocero della giovane vittima, tentativo che l’imputato ha sottaciuto a tutti per poi riversare nel processo una versione inattendibile, quella di un presunto accordo con l’estorto, elemento che prova il mendacio di Costa davanti alla Corte”.
L’avvocato Sgambellone, quindi, ha richiamato l’attenzione sulla volontà della condotta dell’imputato, ritenuta convergente ed univoca, di punire il comportamento “infame” di Congiusta che si era permesso di divulgare fuori dal contesto del rapporto tra estorsore ed estorto, la lettera contente la richiesta di denaro inviata a Scarfò. Il nome di Gianluca Congiusta quale “infame” agli occhi di Costa emerge fin dal gennaio 2004, quando nel corso di uno scambio epistolare tra l’imputato e la sorella, questa riferisce che la missiva è passata nelle mani del giovane, con possibili gravi sviluppi nel contesto criminale sidernese. Congiusta, pertanto, è stato punito con la morte. Una punizione che, nel processo, ha portato, secondo il difensore che ha depositato anche le conclusioni scritte per Confindustria, a tenere un modello comportamentale teso a gettare fango sulla vittima, asserendo ipotesi inverosimili di piste alternative che, seppur percorse dagli inquirenti, non hanno portato a nulla.
Sulla stessa direttrice si è incardinata la discussione dell’avvocato Geppo Femia che, nell’interesse delle sorelle Congiusta, ha sottolineato: “Quello della lettera estorsiva è l’unico movente per l’assassinio di Gianluca, ogni ombra sul suo conto è stata alleggerita, mentre quello che rimane dopo oltre cinquanta udienze, è la certezza che ad ucciderlo è stato Tommaso Costa”.
Per la prima volta l’Associazione dei Comuni della Locride si è costituita parte civile in un processo contro una cosca mafiosa, quella dei Costa – Curciarello, circostanza rilevata nella discussione dell’avvocato Francesco Macrì che ha sottolineato la differenza tra gli Enti Locali che puntano allo sviluppo economico e sociale del territorio e quello della criminalità organizzata che, al contrario, con rapacità tenta di depredare questa terra colpendola fin dentro l’anima. Contro la ‘ndrangheta, alla sua invadenza e prepotenza, i comuni della Locride si sono uniti per affermare i principi di democrazia, legalità e tutela dei diritti. Per questo motivo l’avvocato Macrì si è riportato alle conclusioni del pm Antonio De Bernardo, reiterando la richiesta di pena dell’ergastolo nei confronti di Tommaso Costa, quale capo dell’omonima consorteria criminale, e quella a 26 anni di carcere per Giuseppe Curciarello, imputato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Alle stesse conclusioni si sono affidate la regione e la provincia reggina attraverso una memoria scritta rappresentata dall’avvocato Evelina Cappuccio. Cosi come il partito Italia dei Valori che, attraverso l’avvocato Giacomo Saccomanno, ha ripercorso il processo rilevando che la condotta di un clan mafioso ha fortemente condizionato la società civile rispetto alla possibilità di portare avanti un progetto di libertà e legalità.
Contro la pervicacia di una cultura omertosa e mafiosa l’avvocato Francesca Maria Romeo, nell’interesse dell’associazione “Insieme Si Può”, ha chiesto un euro come risarcimento del danno. Un valore simbolico per dare un senso alla battaglia quotidiana che l’associazione roccellese affronta insieme alla parte sana della società locridea, tesa ad affermare la giustizia ed il diritto contro la ‘ndrangheta.
Il processo riprende venerdì con l’arringa degli avvocati Dario Grosso e Leone Fonte, difensori di Giuseppe Curciarello.