Giustizia, credibilità e L’”invasore” palermitano Pignatone

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Giustizia, credibilità e L’”invasore” palermitano Pignatone

 

Giuseppe Pignatone

di MICHELE INSERRA

La valigia è sul letto. Ma non la rimuoverà sino alla fine dell’anno. Il procuratore capo Giuseppe Pignatone si appresta a lasciare Reggio Calabria.

Direzione: Procura di Napoli. Nel capoluogo partenopeo ha inoltrato domanda. Ma le porte aperte sono a Roma, alla Direzione nazionale antimafia. Una suggestione, una probabilità, ma alla fine dei conti una poltrona che sembra adattarsi bene alla figura di Pignatone, quella di degno successore di Piero Grasso. In tanti lo rimpiangeranno a Reggio, quelli che hanno creduto nel nuovo percorso di una giustizia trasparente, in tanti esulteranno, quelli che l’hanno visto come l’invasore palermitano che con gli arresti e i sequestri delle attività imprenditoriali ha addirittura minato l’economia, già traballante, di una città. Ma Pignatone non è né un santo, né un eroe. E’ soltanto uno che ha fatto il proprio dovere. E in questa terra fare il proprio dovere significa rompere schemi precostituiti, radicati da anni, e che spesso hanno creato confusione tra guardie e ladri.

Il modello di giustizia targato Palermo è risultato vincente: non a caso la fondatezza delle inchieste è stata avallata dalle decisioni dei giudici per buona parte delle operazioni di Procura e polizia giudiziaria. In tempi brevi e con sentenze esemplari.

Uno degli ultimi casi è rappresentato dalla sentenza della Corte d’assise di Palmi con la quale sono stati condannati dieci personaggi di ‘ndrangheta, di cui due all’ergastolo nell’ambito della faida di Seminara. E’ stato confermato al cento per cento l’impianto accusatorio. La decisione dei giudici, inoltre, segue la sentenza del dicembre scorso e un’altra ancora dell’aprile del 2010 che aveva visto condannato il sindaco di Seminara, Antonio Pasquale Marafioti, e l’ex vice sindaco, Mariano Battaglia, documentando il pesante condizionamento delle cosche di ‘ndrangheta sul Comune reggino. Impianto accusatorio che aveva avuto  conferma già in precedenza nell’operazione “Agathos” contro la cosca Tegano di Reggio e  nell’operazione “Reale”, l’inchiesta principe dalle intercettazioni impeccabili, quella riguardante il boss di San Luca Giuseppe Pelle e il consigliere regionale Santi Zappalà. In questo ultimo caso basti pensare che l’indagine è dell’aprile 2010, Zappalà viene arrestato a dicembre, a giugno 2011 arrivano le condanne. Altro segnale importante è che nonostante in molti abbiano scelto il rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo della pena,  le condanne sinora inflitte sono state comunque pesanti.

Altro capitolo spinoso di questo nuovo corso è quello dei pentiti. Figura particolare è quella di Antonino Logiudice, che, prima con le bombe intimidatorie ai magistrati reggini e poi con le successive rivelazioni “telluriche” ha fatto più rumore negli ultimi tempi. E’ un presunto boss, l’unico senza l’egemonia su un territorio circoscritto, ma è anche un presunto tragediatore. Dalle precedenti esperienze di collaborazioni si evince chiaramente che le prime battute rilasciate ai magistrati sono riduttive e spesso senza filo logico per la naturale tendenza dei pentiti a non dire tutto al primo interrogatorio. E proprio per questo i primi verbali vengono “superati” da ulteriori e più articolati racconti, e soprattutto dai riscontri, che sono il termometro per valutare la credibilità del collaboratore di giustizia. In questi mesi si è tentato di far passare come una sorta di accanimento il lavoro svolto da Pignatone e dai suoi. Un modo per screditare, destabilizzare. Lo stesso messo in moto con rapidi passaparola paesani per sconfessare le rivelazioni del presunto tragediatore, che al momento, è bene sottolinearlo, sono state puntualmente in buona parte riscontrate.

Così come anche lo scontro in Procura, la lotta togata per un posto al sole, è stato a lungo utilizzata per distogliere l’attenzione dai veri problemi. Pressappoco lo stesso meccanismo a cui si ricorre spesso in politica per mascherare l’incapacità nell’operare dietro l’alibi della presenza della ‘ndrangheta, quella che dà il permesso di fare o di non fare. Per fortuna ci sono politici, sebbene ancora pochi, che operano dando conto solo a se stessi e ai  cittadini che li hanno votati. Tra questi in prima linea è il sindaco di Lamezia Gianni Speranza. Quello della politica è un campo minato perchè troppo spesso e soprattutto in Calabria il consenso elettorale non è frutto di una scelta democratica, ma è un interesse da comprare. L’invasore palermitano Pignatone e i suoi fedelissimi hanno dato conto soltanto a se stessi e alla società civile, delineando il confine netto tra Stato e antistato, riportando una maggiore fiducia dei cittadini nella giustizia. Si è aperta la stagione del pentitismo, sta ritornando la forza della denuncia (l’ultimo caso in ordine di tempo è quello della banda che rapinava gli anziani in casa), sono state date basi solide ai castelli accusatori. E’ stata scoperchiata la pentola degli insospettabili, quella degli uomini infedeli dello Stato (tra tutti il capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi) e quella dei prestanomi delle cosche. L’ultimo sequestro, l’ottica Cuzzola, è tra i più preziosi ai fini investigativi, proprio perchè era impensabile il collegamento al “Supremo” Pasquale Condello di una delle attività, insospettabilissima, meta ambita della Reggio bene. C’è oggi tanta attesa per gli sviluppi dei clamorosi arresti in ambito politico. Negli ultimi mesi il caso più eclatante è stato quello del consigliere regionale Santi Zappalà e del successivo meccanismo messo in piedi per tentare di scarcerarlo. A seguire gli arresti dell’ex sindaco di Siderno, Alessandro Figliomeni, e del primo cittadino di Marina di  Gioiosa Jonica, Rocco Femia. Ma sembra non bastare all’opinione pubblica. Per conquistare la prima pagina dei giornali con un arresto eccellente basta poco, ma c’è un grande rischio: se l’impianto accusatorio non regge e dopo poche ore il soggetto ritorna in  libertà, la credibilità di una Procura viene compromessa, tutta in un sol colpo. Sinora la forza della procura di Reggio è stata propria questa. La credibilità.