LA ‘NDRANGHETA SI FA FORTE ANCHE DELLE STRETTE DI MANO
di GIUSEPPE PIGNATONE
Un anno fa, a Reggio, migliaia di persone hanno sfilato per le vie della città esprimendo la loro solidarietà ai magistrati e alle altre vittime delle violenze e delle minacce gravissime dei mesi precedenti e gridando il loro NO alla ‘ndrangheta; hanno dato così voce e presenza alla stragrande maggioranza dei calabresi e hanno combattuto quello che per Martin Luther King è il maggior pericolo per la democrazia: il silenzio degli onesti.
Ancora più importante la manifestazione di un anno fa perché nata quasi spontaneamente, da una idea e da una proposta di questo giornale, il cui invito è stato poi raccolto e diffuso da singoli cittadini e da tante altre associazioni, diretta espressione della società civile. E importante anche perché ha spezzato il silenzio che spesso ha coperto il problema ‘ndrangheta in Calabria, contribuendo a creare un vero e proprio ‘cono d’ombra’ informativo a livello nazionale che è una delle ragioni, e non delle meno importanti, dell’eccezionale sviluppo dell’organizzazione ‘ndranghetista da fenomeno meramente regionale a una delle mafie più ricche e potenti del mondo.
Sotto questo profilo sono fondamentali, io credo, le indagini giudiziarie. Esse devono avere come unico fine l’accertamento dei reati e della responsabilità di chi li ha commessi, ma offrono anche, a chiunque vi abbia interesse, una massa enorme di dati e di conoscenze sull’organizzazione mafiosa e sui suoi rapporti con la società in cui essa vive. Questo vale per la Sicilia e per la Campania, ma anche per la Calabria: sia in passato (basti pensare, per tutti, ai processi “Olimpia”) sia oggi (basti pensare, per tutte, all’indagine “Il Crimine”).
E sono ancora le indagini a confermare, con l’evidenza delle loro risultanze, quello che da sempre dicono gli studiosi: per sconfiggere la mafia l’attività di repressione, anche la più efficiente (da attuare peraltro sempre nel rispetto assoluto delle norme vigenti) è necessaria ma da sola non basta; è indispensabile anche l’azione di tutti gli altri protagonisti della vita civile a cominciare naturalmente dalla politica che in un sistema democratico detiene i maggiori poteri ed ha, quindi, anche le maggiori responsabilità. Anche se in una situazione così difficile, sul piano economico e sociale, come quella che vive la Calabria, il problema se lo deve porre l’intera classe dirigente: amministratori, burocrazia, professionisti, imprenditori, e anche intellettuali. Ovviamente, ma va detto per chiarezza, in ogni categoria ci sono persone colluse con la ‘ndrangheta, persone che accettano di conviverci e persone che cercano di cambiare le cose.
Tante volte, in tutta Italia, si cita come esempio positivo di azione della società civile quello offerto in Sicilia da un gruppo spontaneo di giovani (“Addio pizzo”) e da una associazione di solide tradizioni come Confindustria Sicilia. Bene: proprio il presidente di questa organizzazione, Ivan Lo Bello, ripete spesso che per lui stesso e per una parte oggi maggioritaria degli industriali siciliani è stato possibile rompere i vecchi schemi e le vecchie alleanze solo sviluppando una sinergia virtuosa con la magistratura, sinergia che trova nella denunzia delle estorsioni la sua manifestazione più evidente, ma il cui valore va oltre la repressione del singolo reato perché significa invece una rivendicazione di libertà, d’impresa ma non solo. Senza peraltro dimenticare che questi risultati sono stati ottenuti dopo anni di tentativi e di fallimenti, spesso segnati da eventi drammatici.
E questo porta a un’ultima considerazione: le manifestazioni come quella di un anno fa hanno un’importanza straordinaria perché denunziano con forza il problema e mettono tutti di fronte alle loro responsabilità. Ma le manifestazioni di solidarietà non bastano. Non si tratta di assistere come spettatori in uno stadio di calcio facendo il tifo per la squadra dello Stato che gioca un partita spesso drammatica contro la ‘ndrangheta. Tutti devono scendere in campo: nella vita pubblica, nei diversi settori, per cambiare quelle condizioni che aiutano le mafie; ma anche nella vita privata, dicendo i NO che bisogna dire e magari rifiutando di stringere alcune mani anche prima che arrivi il giudice a dire che si tratta di un mafioso o di un soggetto colluso con la ‘ndrangheta. Perché anche di queste strette di mano si fa forte la ‘ndrangheta.