Un abbraccio semplice e intenso come la memoria
Un cerchio azzurro come il cielo. Mani che si stringono, occhi fissi su una stele. Pensieri, lacrime che si lasciano inghiottire silenziose, altre che esplodono e corrono giù, sotto gli occhiali da sole.
Siderno, Locride, Calabria. Un giorno che non è un giorno come un altro.
Vent’anni fa Rita Atria, dopo essersi ribellata alla cultura mafiosa ed aver scelto di diventare testimone di giustizia, lanciò dal settimo piano se stessa e l’incapacità di sopportare la perdita di Paolo Borsellino, al quale si era legata come a un padre, assassinato una settimana prima in via d’Amelio. Doveva ancora compiere diciott’anni.
Ventiquattro anni fa Roberta Lanzino, diciannovenne cosentina, venne violentata e uccisa mentre stava raggiungendo la casa al mare.
Oggi chiude il primo campo Libera nella Locride. Floriano, Sergio, Domenico e Domenico, Leonardo, Giovanna e Giovanna, Giulia e Giulia, Marina, Francesca, Patrizia, Irene, Elisa, Chiara e Rosa sono stati al don Milani, hanno lavorato sodo in un campo confiscato alla ’ndrangheta, hanno ascoltato le testimonianze che si sono susseguite serata dopo serata. E stasera hanno abbracciato, con Francesco e Luca, che li hanno seguiti per tutta la durata del campo, la stele dedicata a Gianluca Congiusta. Hanno abbracciato la memoria, hanno abbracciato Mario e Donatella, stretti con loro in quel cerchio pulito e luminoso. Hanno abbracciato Luca, Roberta e Alessandra. Hanno abbracciato con il loro impegno tutte le vittime innocenti di mafia, ma anche chi è passato accanto a loro in auto senza fermarsi, un po’ seccato di aver dovuto rallentare.
A Luca era dedicato il loro lavoro, il primo campo estivo nella Locride. Con Luca è terminato. Un momento intimo. Un momento di riflessione. Un momento in cui gli sguardi erano un unico sguardo, in un’unica direzione.
C’eravamo anche noi, stasera. C’era Pino, l’amico e il legale della famiglia Congiusta. C’erano i vigili che hanno permesso il raccoglimento.
Avrei voluto dire tante cose. Mi si sono seccate tutte in gola. Non servono le parole quando il sentire comune è davanti ai tuoi occhi.
Le macchine ci sfilavano accanto mentre le frasi commosse si mescolavano ai silenzi e alle parole di gratitudine. Molte di quelle auto erano indifferenti. Alcune stizzite. Alcune aggressive. Suv, berline di lusso e citycar alla moda hanno sfilato dove sette anni fa ha fermato la sua corsa il maggiolino giallo di Gianluca. C’era anche lui, il maggiolino delle tante battaglie di Mario. Due bandiere di Libera infilate nel parafango posteriore, il volto distratto e pulito di Luca sulle fiancate. E proprio accanto al maggiolino giallo si è fermata una piccola utilitaria bianca. Un uomo al volante, una donna al suo fianco, due bambini dietro. È stato un attimo. Il tempo di guardare la stele. Farsi un segno della croce. Abbassare lo sguardo e riprendere, con il volante, la strada.
In quel momento mi si sono asciugate le parole. Erano parole di rabbia per chi vive qui ostentando indifferenza. Parole di gratitudine per chi viene qui a fare volontariato, per non far sentire troppo isolato chi si è schierato dalla parte della buonavita.
Ora non ho che orgoglio. Orgoglio per chi dimostra, ogni giorno, che si può scegliere di stare dalla parte giusta.