Gianluca Congiusta
Nove anni fa veniva ucciso a Siderno Gianluca Congiusta.
Era la sera del 24 maggio del 2005, Gianluca era alla guida della sua auto; un killer lo fredda e muore sul colpo. Un omicidio che ancora risulta essere impunito nonostante una condanna all’ergastolo, sia in primo che in secondo grado, per il boss Tommaso Costa ritenuto da questi giudici il mandante del delitto. La Cassazione però recentemente, ha annullato con rinvio la condanna per l’omicidio e per il boss quindi si aprirà un nuovo processo fissato già per il 23 giugno prossimo dinnanzi ad un’altra sezione della Corte d’Assise d’appello di Reggio Calabria. Gianluca Congiusta e Tommaso Costa. Due nomi che da anni si leggono sempre insieme nelle varie cronache giornalistiche. Ma cosa c’entra un boss della ‘ndrangheta con un ragazzo di 33 anni, incensurato, titolare di un negozio di telefonia a Siderno? Gianluca non è un picciotto, non frequenta ambienti malavitosi, non è una “propaggine” di nessuna cosca eppure è stato ucciso come se fosse un criminale. A Siderno e dintorni se si chiede chi è Gianluca Congiusta non si troverà mai nessuno che lo additerà con epiteti offensivi; anzi. Gianluca Congiusta ha rappresentato per molto tempo il volto di una Locride pulita, onesta e generosa. Ed è stata forse la sua generosità, la sua voglia di aiutare sempre il prossimo a firmare la sua condanna a morte. O almeno di ciò sono convinti gli inquirenti. Ed è qui infatti, che si annida la ‘ndrangheta. Subito dopo il delitto investigatori e autorità giudiziaria lavorano al caso battendo tutte le piste possibili. Chi ha voluto morto Gianluca Congiusta? Cosa ha mai potuto fare questo ragazzo per essere giustiziato in quel modo? Passano anni. Inizia la battaglia di tutta la famiglia Congiusta. Il padre Mario, la mamma Donatella e le sorelle Alessandra e Roberta, non si sono mai rassegnati. Hanno portato avanti la loro “guerra” urlando sempre giustizia e mai vendetta. E la giustizia dopo poco tempo è arrivata, o almeno sembrava esserlo.
L’operazione Lettera morta
La prima svolta sul caso arriva nel gennaio del 2007 quando su richiesta della D.D.A. reggina viene eseguita l’operazione “Lettera morta”. In manette finiscono diversi appartenenti alla cosca Costa di Siderno. Per molti di loro la condanna è divenuta definitiva anche in Cassazione. Tra gli arrestati c’è Tommaso Costa: è lui secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, il mandante dell’omicidio di Gianluca Congiusta. Gianluca infatti, sarebbe morto per essere venuto a conoscenza di un tentativo di estorsione perpetrato da Costa ai danni del suocero Antonio Scarfò. Un’estorsione di cui però nessuno doveva sapere, nessuno; soprattutto la ‘ndrina rivale dei Commisso. Sempre secondo l’impianto accusatorio, Congiusta venne a conoscenza delle mire espansionistiche del Costa, proprio dalla bocca della famiglia della sua fidanzata Katia. Costa a breve sarebbe uscito dal carcere ( dove si trovava già recluso per altri fatti di mafia ndr) , e quindi avrebbe dovuto “riacquisire” credibilità mafiosa a Siderno e dintorni, senza però che la cosca, quella veramente potente facente capo alla famiglia Commisso, venisse prematuramente a conoscenza dei suoi progetti criminali poiché altrimenti l’avrebbe pagata cara, così come già successo nella sanguinosa faida degli anni ’90 in cui la cosca Costa non ebbe di certo la meglio. Ecco di seguito il testo della missiva estorsiva:
Signor Scarfò sono stato delegato da Tommaso Costa a farvi un discorso per motivi che comprenderà ho preferito fare così. È da più di due anni che hai fatto l’attività lavorativa e nessuno di noi ti ha fatto nulla, però tu questo non l’hai capito e noi abbiamo avuto pazienza aspettando che forse tu ti ravvedevi ma non è stato così. Non ti sei mai degnato a mandare un soldo anche se hai fatto il tuo comodo a cento metri dalla casa di Tommaso, prima comprando la terra e poi il resto, ora io ti ho avvisato e ti spiego il perché non sono venuto di persona. Se tu non provvedi a sistemare sto fatto può darsi che la decisione è quella di ucciderti. Altra cosa se tu dai soldi ad altri a noi fa piacere e non ti dico di non darli, anzi li dai ad altri e pure a Tommaso così non rischi con altri. Non ti rivolgere al fratello o nipoti perché lui non li considera per nulla visto che sono pochi seri perché loro non contano nulla e se si assumono qualche responsabilità quando poi debbo spararti si mettono loro davanti al piombo. Spero capirai che non sto scherzando altrimenti non avrei fatto il nome di Tommaso e sei mi ha autorizzato a parlarti chiaro è perché se sbagli ti farà ammazzare. Buone feste per te e la tua cara famiglia.
In queste poche righe sgrammaticate, la D.D.A individua la genesi del delitto di Gianluca Congiusta. Nel disegno di Costa qualcosa quindi va storto, a Siderno si parla di questa lettera. Ecco che qui iniziano i tentativi dell’imputato di rinnegare la paternità della missiva; i Commisso fanno troppa paura e le gambe tremano talmente tanto che, secondo l’accusa, il boss doveva eliminare chiunque fosse venuto a conoscenza del fatto che i Costa erano tornati senza nessun permesso e con molta arroganza a Siderno. Eliminare chiunque ingenuamente potesse diffondere quello che doveva rimanere un segreto: Gianluca Congiusta. Costa e la sua difesa hanno sempre sostenuto che non esisteva alcun intento estorsivo ed anche quando lo stesso imputato in dibattimento, sottoponendosi alle domande del pm, non ha potuto negare di aver inviato questo scritto allo Scarfò, non ha comunque fornito spiegazioni valide.
La tentata estorsione ai danni della famiglia Scarfò e il loro “ostinato silenzio”
Pur annullando la condanna relativo all’omicidio, la Cassazione ha ritenuto Tommaso Costa colpevole con sentenza definitiva della tentata estorsione ai danni di Antonio Scarfo, suocero del Congiusta. Dalle motivazioni della Suprema Corte infatti, si evince la correttezza delle conclusioni cui era giunta la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria secondo cui la missiva estorsiva fatta recapitare allo Scarfò era “una lettera vera e si inquadrava nel progetto più ampio perseguito dall’imputato volto a definire le zone di influenza […], la lettera era ormai a conoscenza di tutti nel contesto sociale di Siderno. La ricostruzione della vicenda estorsiva viene avvalorata dalla successiva ulteriore richiesta di mille euro al mese da rivolgere agli Scarfò, dalle omissioni e contraddizioni nella versione fornita a dibattimento dai componenti della famiglia dell’imprenditore Scarfò e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Domenico Oppedisano al quale poco prima dell’omicidio, Gianluca Congiusta aveva confidato di avere problemi con Giuseppe Curciarello ( coimputato di Costa in questo processo e condannato in via definitiva anche dalla Cassazione ndr) proprio in relazione a questa estorsione rivolta al suocero Scarfò”. Durante il dibattimento di primo grado però, chiamati a testimoniare Antonio Scarfò, unitamente alla moglie Girolama Raso e alla figlia Katiuscia, non diranno mai di aver informato il Congiusta di questa missiva. Anzi secondo la loro versione, la lettera da cui si evince palesemente lo strapotere di Costa, verrà letta solo da Girolama Raso che ai giudici dirà di non aver mai informato né il marito né tantomeno Gianluca. La sua versione verrà smontata pezzo per pezzo sia dalla pubblica accusa che dai legali della famiglia Congiusta. Gli Scarfò hanno sempre voluto tenersi al di fuori di qualsiasi vicenda processuale, negheranno sempre e comunque di aver interessato Gianluca Congiusta. Al processo non si costituiranno mai come parti civili. Non si schiereranno mai al fianco della famiglia dell’imprenditore ucciso, ma via via si allontaneranno sempre di più trasferendosi addirittura a Milano. Avranno agito per paura o per indifferenza, non è dato ancora saperlo; ma al termine del dibattimento rimedieranno un’accusa di falsa testimonianza per cui attualmente dovrebbe essere pendente un procedimento dinnanzi al Tribunale di Locri. Pur essendo ormai cristallizzato giuridicamente il fatto che hanno subito un tentativo di estorsione, gli Scarfò continuano a trincerarsi dietro un muro. Ma se dopo aver subito questo tentativo di estorsione, hanno informato Congiusta perchè non dirlo? Può essere più forte la paura della voglia di sapere chi ha ucciso il tuo fidanzato e quindi quello che da lì a breve sarebbe diventato tuo genero? Il ragazzo che ogni giorno frequentava la tua casa, quello che per te “era come un figlio”? Questi sono gli interrogativi che tutta la comunità della locride si pone e che per anni hanno invaso le menti della famiglia Congiusta. “Voglio la verità più di ogni altra cosa al mondo. Con lui mi confidavo, era come un figlio. Non dovevo dargli retta. Dovevo andare a denunciare. Forse, chissà…”: parlava così durante un’udienza, l’ex suocera di Gianluca; le sue parole però sono rimaste tali, non si sono mai tramutate in azioni concrete.
I processi
La prima sentenza all’ergastolo per Tommaso Costa arriva il 18 dicembre del 2010. La conferma in appello è del 13 aprile del 2012. «Giustizia è fatta, la condivido con chi ancora non l’ha avuta»: l’aveva commentata così Mario Congiusta. Nonostante il suo profondo dolore per la perdita del figlio, dalla bocca del Signor Congiusta non sono mai uscite parole d’ira o di vendetta per nessuno degli imputati. Neanche per quello che i giudici hanno condannato essere l’assassino del figlio. L’intera famiglia Congiusta ha sempre mantenuto un atteggiamento rispettoso verso tutte le parti processuali, a volte quasi razionalmente non comprensibile. Sei anni di processo e sembrava che Gianluca avesse avuto giustizia; il 6 marzo scorso la Cassazione però annulla l’ergastolo e dispone nuovo processo d’appello che inizierà nuovamente a Reggio Calabria il 23 giugno prossimo. Allo stato dei fatti quindi il delitto resta impunito. A distanza di ben nove anni da quel 24 maggio 2005 non è stata scritta la parola “fine”. Ci sarà un nuovo grado di giudizio dove ci sarà nuovamente alla sbarra il boss Costa che arriverà in questo nuovo processo con un altro ergastolo sulle spalle, quello rimediato poche settimane fa per l’omicidio di Pasquale Simari, e come sempre, in aula tra i banchi delle parti civili ci saranno loro Mario, Donatella, Roberta e Alessandra che da 9 anni a questa parte invocano giustizia con tutte le loro forze. Da nove anni le loro vite sono state spazzate vie, sommerse dalla disperazione per la perdita di un figlio e un fratello, e inondate di carte processuali che descrivono gli ultimi attimi di vita di Gianluca. Eppure sono ancora lì a chiedere alla legge di dare un nome a chi quella sera ha ordinato di sparare a Gianluca, il ragazzo “dal sorriso contagioso”, che qualcuno ha deciso di uccidere e per cui ancora si attende disperatamente giustizia.
Fonte: Strill.it
Tommaso Costa
Giuseppe Curciarello
Girolama Raso ed ntonio Scarfò denunciati per falsa testimonianza
(le foto a fondo pagina sono inserite da Mario Congiusta)