Il pentito Vincenzo Curato ha deposto ieri alla Corte d’Assise d’Appello confermando le dichiarazioni rese alla Dda reggina
di Angela Panzera
« Peppe Costa mi ha detto di essere andato a deporre in un processo per omicidio in cui era imputato il fratello Tommaso e mi ha spiegato che non l’aveva accusato dicendomi: “sapevo che mio fratello aveva partecipato all’omicidio, ma il mio sangue non lo tradisco mai”».
A parlare così è il pentito Vincenzo Curato chiamato ieri a deporre nel processo in Corte d’Assise d’Appello sull’omicidio di Gianluca Congiusta, l’imprenditore ucciso il 24maggio del 2005 a Siderno, i cui è imputato Tommaso Costa.
Il boss è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado, ma il sei marzo scorso la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza, ad un’altra sezione dell’Appello, limitatamente al delitto Congiusta. Curato in aula ieri è stato precisissimo. Alla Corte ha confermato in toto quando dichiarato agli inquirenti ( il cui verbale è riportato nel box accanto).
Il pentito Peppe Costa quando era detenuto insieme a lui gli avrebbe confidato che in un processo ha “omesso” di riferire le circostanze a sua conoscenza ossia che, sempre secondo Curato, ha mentito pur sapendo che il fratello aveva alcune responsabilità.
“ Costa mi disse che non lo ha riferito perché in famiglia avevano già avuto troppi morti e che quindi non poteva tradire la sua famiglia; queste notizie le ha apprese dal nipote Francesco Costa, che faceva da intermediaro, da cui veniva costantemente informato sulle situazioni della famiglia. Confermo che Costa mi disse che aveva collaborato perché voleva togliersi dei “sassolini” con i Commisso e che tanto lui era l’unico pentito su Siderno e che le cose di cui era a conoscenza risalivano agli anni ’80-’90 e che collaborava perché gli serviva per uscire prima.
Un giorno Costa mi disse che quando sarebbe uscito dal carcere avrebbe partecipato insieme al nipote ad un traffico di droga e mi chiese se volevo partecipare. Mi disse infatti, :”quando uscirò faremo cose grandi”. Non solo di quale omicidio si trattasse e non mi ricordo il giorno preciso di quando mi riferì queste cose, ma sono sicuro che era in un periodo estivo perché faceva caldo». Adesso spetterà ai giudici valutare il narrato di Curato, fatto sta che è stato accertato che i due per un periodo hanno scontato insieme la detenzione nel carcere di Prato e che in effetti, Peppe Costa, chiamato a deporre nel primo processo d’Appello sull’omicidio Congiusta, il 22 febbraio 2013, ha riferito che non sapeva nulla sul coinvolgimento del fratello; Costa però, ha deposto anche in un altro processo di secondo grado, il 14 marzo del 2013, ma che si svolse dinnanzi la Corte d’Appello, e non Assise, in cui era imputato il boss Totò Ursino e non il fratello Tommaso (condannato anche in Appello all’ergastolo per l’omicidio di Pasquale Simari ndr). La Corte d’Assise d’Appello ha ritenuto quindi dover convocare il pentito Costa, e il nipote Francesco, a testimoniare il 29 settembre.
In aula anche l’ex Vice Dirigente del Commissariato di Siderno dott. Francesco Giordano ed il Sovrintendente Vincenzo Verduci, che hanno escluso sia il movente passionale che l’usura
Prima dell’escussione del pentito Curato hanno risposto alle domande del Pg Franco Scuderi, della Corte, degli avocati di parte civile e del difensore, l’ex vice dirigente del commissariato di Siderno, Francesco Giordano, e il sovrintendente Vincenzo Verduci. Giordano ha escluso categoricamente un possibile coinvolgimento di Congiusta in vicende usurarie mentre Verduci ha riferito di essersi occupato delle intercettazioni avviate subito dopo l’omicidio e ai giudici ha dichiarato, che pur avendo seguito la pista di un movente passionale, non è emerso alcun elemento investigativo valido. Per l’accusa infatti, il movente è mafioso: Costa avrebbe ucciso Congiusta perché sapeva della tentata estorsione perpetrata al suocero Scarfò.
fonte: Il Garantista