di Anna Foti – Lenzuola bianche da riempire con le parole di testimonianza e di coraggio rese in sua memoria. Ecco come Siderno, comune della Locride che domenica prossima andrà al voto e dove lo scorso 24 maggio la campagna elettorale è stata sospesa, si è stretta alla famiglia Congiusta, a papà Mario, mamma Donatella e alle figlie Roberta e Alessandra per ricordare Gianluca.
Dieci anni fa il giovane imprenditore veniva ucciso proprio qui a Siderno dove viveva con la sua famiglia, dove coltivava le sue innumerevoli passioni, soprattutto sportive. La comunità lo ha ricordato stringendosi attorno alla famiglia che ancora aspetta giustizia piena e verità; lo ha fatto con un viaggio simbolico fino alle ‘radici della memoria’.
In corso il processo bis dinnanzi alla corte d’assise d’appello di Reggio Calabria dopo l’annullamento con rinvio deciso nel marzo dello scorso anno dalla corte di Cassazione. La sentenza rimessa in discussione conteneva, dopo nove anni di indagini, la condanna all’ergastolo per il boss Tommaso Costa, allora ritenuto mandante ed esecutore dell’omicidio di Gianluca. Per Costa, invece, sono rimaste in piedi le condanne per tentata estorsione ed associazione mafiosa; quest’ultima confermata anche per Giuseppe Curciarello.
L’impianto accusatorio che aveva retto in primo ed in secondo grado, per i giudici di legittimità non è stato sufficiente per avvalorare l’ipotesi di omicidio, pur non avendo intaccato la paternità di Costa della lettera estorsiva rivolta a Scarfò.
Tutto pare ruotare adesso attorno all’attendibilità di alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Curato che entrato in contatto con il fratello di Tommaso Costa, Giuseppe, nel carcere di Prato avrebbe da costui saputo delle dichiarazioni omissive rese da Costa agli inquirenti per coprire il fratello.
L’indagine all’indomani di quella pagina di violenza in cui il sorriso contagioso di Gianluca fu spento con un solo colpo di fucile calibro 12 caricato a pallettoni la sera del 24 maggio 2005 a Siderno, assunse proprio il nome di Operazione Lettera Morta. Due anni dopo il fatto di sangue vennero emesse le prime ordinanze di custodia cautelare in carcere contro diversi esponenti della ndrina dei Costa tra cui Tommaso. L’allora procuratore capo della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, Antonino Catanese, definì l’arresto un duro colpo inferto alla cosca della Locride. Già sottolineata dagli inquirenti, in quell’occasione, la complessità delle indagini condotte dal Commissariato di Siderno, guidato Rocco Romeo. Il processo di primo grado presso la corte di assise di Locri iniziò nel 2008 e si concluse nel 2010. Quello di appello andò a sentenza nel 2013 con la conferma dell’ergastolo per Tommaso Costa e la riduzione di pena da 25 a 15 anni per Giuseppe Curciarello.
Lo sfondo dell’indagine era, ed è, quello della cittadina sidernese, dei suoi equilibri mafiosi in fase di riassestamento, di un giro illecito di attività estorsive da ripristinare nel territorio della locride, in cui il clan dei Costa, uscito sconfitto dalla guerra di mafia dei primi anni novanta contro i Commisso, per mano del suo capo Tommaso, ancora in carcere, tentava di riproporsi sul territorio. Costui, infatti, indirizzava, dall’istituto penitenziario di Palmi, dove era al tempo detenuto, una lettera contenente richieste estorsive all’imprenditore Antonio Scarfò, suocero in pectore del giovane Congiusta perché padre della fidanzata Katia.
Nel tentativo di intercedere, informato dalla stessa famiglia Scarfò, il giovane, a cui nessuna contestazione è stata mai mossa e che nessuna affiliazione aveva con i clan, rimase imbrigliato in un contesto di recupero di assetti malavitosi complessi e pericolosi che gli sarebbero costati la vita. La lettera, infatti, di cui nessuno avrebbe dovuto sapere, volendo il Costa assolutamente sotto traccia ristabilire un dominio a Siderno, divenne nota costringendo lo stesso Costa a rinnegare la paternità e presumibilmente ad eliminare chi potesse smentirlo, ossia Gianluca Congiusta. Nato il timore di una rappresaglia nei confronti del capoclan Tommaso Costa che aveva ripreso, senza consultare la ‘ndrina dominante dei Commisso, una propria attività mafiosa, la vita di Gianluca fu subito in pericolo.
Non ha mai acconsentito al silenzio il padre di Gianluca, Mario Congiusta con tutta la sua famiglia in questi anni in prima linea per la legalità e l’affermazione della verità sulla morte del figlio. Una onlus porta il nome di Gianluca per tenere accesa la speranza e continuare a lottare, raccontando ostinatamente anche questa storia preziosa della Calabria che resiste e rivendica un presente ed un futuro di libertà.
Anche Reggio Calabria intende onorare la memoria con la volontà manifestata dal sindaco Giuseppe Falcomatà e dal presidente del Consiglio comunale Demetrio Delfino, accogliendo l’invito del Centro Studi Helios Magazine, della presidenza del Club Ausonia e del Coordinamento Regionale dei sociologi di Consom, di voler avviare al più presto la procedura per l’intitolazione di una delle strade o delle piazze della città a Gianluca Congiusta ed a tutte le vittime della ‘ndrangheta.
fonte:Strill