‘ndrangheta e politica

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La Ss 106. Un nodo di appalti, 'ndrangheta e politica.

di Aaron Pettinari – 18 giugno 2008

Reggio Calabria. 31 su 33 richiesti i fermi eseguiti nell’operazione “Bellu lavoro”, l’operazione condotta l’altro ieri dai carabinieri e coordinata dalla Dda. Coinvolti anche due politici e la Condotte spa.

L’inchiesta, firmata dal nuovo procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e dai suoi sostituti Salvatore Boemi, Francesco Mollace, Giuseppe Lombardo e Domenico Galletta, era partita qualche tempo fa con un’intercettazione nel carcere di Parma.

Chiacchieravano tra loro Giuseppe Morabito “Tiradritto” ed i parenti. Parlavano di tutto, matrimoni, funerali, sport, finché la figlia, Antonia lo avvisa: “Abbiamo preso un bello lavoro”. Coincidenze. Da tempo la ‘Ndrangheta aveva messo le mani sulla Salerno – Reggio Calabria. Appalti milionari roba da sfamare più di una cosca. Ma “u bello lavoro” era riferito alla statale 106, la Jonica che porta fino a Taranto. Un piatto troppo appetitoso che ha subito richiamato l’attenzione delle cosche del litorale reggino. L’appalto, quantificato in 90 milioni di euro, era stato conquistato dalla società Condotte spa, uno dei colossi delle costruzioni che dal 23 marzo scorso ha perso il certificato antimafia. La Dia la stava monitorando da tempo e in un dossier inviato al prefetto di Roma si spiegava come ci fossero stati “più tentativi di infiltrazione mafiosa per mettere le mani sulla gestione dei cantieri della Salerno – Reggio Calabria e della nuova statale numero 106”.

A quanto pare dalle indagini la Condotte sarebbe finita nelle grinfie delle famiglie calabresi. I Morabito, i Pansera, i Vadalà e gli Stilo. Queste le cosche interessate. A confermare ciò i fatti. I sub appalti della Jonica se li accaparrarono la “Imc” di Costantino Stilo e la “D’Agui’ Beton” entrambe considerate dagli inquirenti come appartenenti alla cosca di Africo. Nelle 696 pagine del fermo i procuratori spiegano i rapporti tra la Condotte e la “Imc” con continue richieste di cemento. In un’altra pagina sarebbe scritto che: “Risulta evidente la complicità della Condotte nell’agevolare gli interessi del cartello criminale, attraverso Terenzio D’Aguì, e quindi favorire l’aggiudicazione del subappalto ad un’impresa evidentemente gradita ai gruppi criminali operanti nel territorio interessato dai succitati lavori”. Quindi vengono segnalate anomalie, tipo quella che ha visto la società rivolgersi ad un fornitore non per rivedere al ribasso i costi previsti, ma per “distribuire i costi in modo diverso, proponendo addirittura un costo complessivo superiore a quello offerto dalla ditta”.

Inoltre va aperto un altro capitolo sulle assunzioni dei lavoratori. Nelle liste dei dipendenti della Condotte risultava ad esempio Cicciò Spanò, “appartenente alla ‘ndrina Maisano e gravato da numerosi precedenti penali fra cui l’associazione a delinquere di stampo mafioso, l’estorsione e la ricettazione” ed il figlio, Domenico, lavorava nella ditta che fa il movimento terra sulla Jonica. Poi c’era anche Vincenzo Carrozza, un nipote di Giuseppe Morabito che, secondo quanto scrivono i procuratori, “è stato assunto formalmente alle dipendenze della Imc con la qualifica di autista, di fatto si è sempre prodigato ad eseguire fedelmente gli ordini impartiti dallo zio. Controllava lo stato di avanzamento dei lavori all’interno dei cantieri della Condotte per esercitare pressioni sul capocantiere Pasquale Carrozza o sul suo collaboratore Giovanni Labate”.

Erano questi alcuni degli affari che le ‘ndrine stavano portando avanti. Per meglio gestire il tutto era necessaria una pace sommaria voluta soprattutto dalla potentissima famiglia Morabito. Ancora una volta sono le intercettazioni a ricostruire lo scenario: “Ci sono stati i morti, e il cuore batte, ma è giusto che facciamo finta, ci sono i figli di mezzo, andiamo d’accordo anche se dobbiamo fingere. Finché si spartisce a metà la cosa funziona…” A parlere due uomini della famiglia Vadalà di Bova Marina, da anni in lotta con i Talia. Ai Morabito le cosche riconoscono “la supremazia militare e territoriale e di fatto hanno costituito una sorta di Holding del crimine”. I Morabito mettono le proprie imprese, forniscono materiali e calcestruzzi piuttosto scadenti, come accertato dai rilevamenti. Per gestire un comitato d’affari di così grande portata è però necessaria una copertura “invisibile”. Ne parla uno dei personaggi di spicco dell’inchiesta, il consigliere comunale di Bova Marina Sebastiano "Nuccio" Altomonte. Un personaggio insospettabile che entra in scena attraverso le intercettazioni effettuate nella sua auto mentre dialoga con vari interlocutori, moglie e figlia compresi. Quello che afferma, stando agli inquirenti, apre un ampio spaccato rispetto alle contestazioni dell'accusa. Egli sarebbe stato il “promotore, il dirigente e l'organizzatore dell'organismo direttivo chiamato "Base" attraverso cui venivano coordinate le strategie criminali delle cosche Vadalà e Talia” per “eseguire il relativo programma associativo”. Sarebbe poi stato “l'anello di congiunzione fra esponenti di spicco della criminalità organizzata locale e appartenenti al settore politico-amministrativo della fascia ionica reggina, tra i quali l'ex consigliere regionale Domenico Crea”. Inoltre, avrebbe mantenuto “rapporti privilegiati con le famiglie di 'ndrangheta del comprensorio di Africo (Glicora, Micantoni, Criaco)» partecipando alla costituzione di una sorta di «cupola» con altri personaggi di vertice «quali Leone Morello, Leone Modafferi e Antonino Vadalà”, “finalizzata ad esercitare il predominio nel comprensorio di Bova Marina oltre che a gestire un gruppo politico alle loro dipendenze”.

Ed è lo stesso “prufessuri” a parlare del livello occulto.

In un’intercettazione con la figlia parla della massoneria: “Della Gran Loggia Regolare d’Italia, siamo una quarantina” – racconta – “Cosimo Cherubino era massone, è entrato dopo di me. Quando lo abbiamo battezzato qualcuno non voleva che entrasse perché aveva fatto la galera… L’avvocato Ciccio è massone., il dottor Squillaci, il sindaco di Bova, pure lui è massone. La massoneria è un grande potere, tutti massoni sono in Italia i più grossi. Andreotti è un massone, Berlusconi è un massone”. “Soltanto Prodi forse non è un massone”, dice la figlia. Ed Altomonte: “Agazio Mastella è massone, Agazio Loiero è massone, tutti massoni sono”. La figlia insiste: “Prodi dove cavolo deve andare”. E Altomonte conclude: “Neanche nella macelleria lo vogliono”. Successivamente “u’prufessuri, che a Natale aveva mandato un biglietto d’auguri e una cassetta di vini al boss superlatitante di San Luca Domenico Pelle, detto “Gambazza”, si sfoga e fa emergere la propria voglia di arrivare in alto: “Voglio passare i prossimi 10 anni di prestigio, pure che mi arrestano, però li voglio di pieno prestigio, fino ad ora ho lavorato una vita compare ora io voglio il riconoscimento di quello che ho dato, è giusto compare? Ma il mio ragionamento vi piace? Fino ad ora ho lavorato sempre come una formica, ora voglio un riconoscimento di quello che ritengo che merito, se poi, voglio dire, le altre persone pensano, che voglio dire che io..che mi inquisiscano e che facciano quello che vogliono, vado pure in galera ma con onestà però….però stavolta voglio una goccia di gestione, la voglio avere pure io. Per gestire 10 anni, pure che dobbiamo uscire sui giornali, però voglio che queste cose le dobbiamo fare”. A confermare i suoi legami con la criminalità organizzata c’è il colloquio, intercettato, con Pietro Verno “noto pregiudicato cognato del boss Nino Pangallo della cosca di Roccaforte del Greco, ucciso nel 2004”.

“La Margherita ha avuto timore di me, compare, quando mi ha telefonato Letta – racconta – a me mi ha telefonato il senatore Viscardi che è il responsabile della Margherita del Mezzogiorno, sapete cosa mi ha detto? Tu ti devi candidare con Enrico Letta, perché abbiamo saputo da fonte certa che tu sei più forte di quel cretino, di Naccari (esponente reggino del Pd, ndr). Io ho capito che sono uno più cretino dell’altro e non mi sono candidato con nessuno, perché prima di candidarmi volevo un posto. Quando io mi candidavo all’assemblea costituente, allora Marco Minniti mi dava spazio a me? Questi sono lupi, avete capito? Minniti va solo con D’Alema, sapete dove mi dava spazio a me? Che mi mandava in galera, ecco”. Quindi con Verno programma il futuro con l’opportunità di appoggiare la candidatura di Peppe Galletta in Parlamento per Forza Italia, o in una lista collegata. “Peppe Galletta ci rispetta a noi, però se noi gli facciamo più assai voti, lui rafforza Forza Italia” – dice Pietro Verno – “Quando è venuta Stefania Craxi da Galletta, è venuto e mi ha detto Pietro voglio che ci sia pure tu, che poi mangiamo e beviamo. Lui me l’ha presentata: questo è Pietro, le ha detto, ci tengo assai. Poi siamo usciti e ci siamo fumati una sigaretta con lei”. “E’ una brava cristiana” commenta Altomonte e il Verno aggiunge: “Suo marito è un pezzo grosso di Mediaset. Sapete che vuol dire, Galletta si candida a numero uno della Calabria, lui sale, sale solo con il partito, Forza Italia”. E “u’prufessuri”: “Allora Mediaset la comandiamo noi, vogliamo mandare uno a Milano lo mandiamo a Mediaset”. Oltre ad Altomonte c’è anche un altro politico coinvolto nell’inchiesta. Il consigliere comunale di Samo, Giuseppe Natale Strati ma che sembra essere un soggetto assai più riservato. E’ questo il quadro generale che si presenta innanzi ai nostri occhi d’osservatori. E’ l’ennesima tempesta giudiziaria che si abbatte sulla Calabria e di riflesso sul nostro Paese. Il “Processo Fortugno”, le inchieste sui politici o la magistratura come “Why Not” o  “Toghe Lucane”, solo per citarne alcune. Lo scenario è talmente oscuro che non fa presagire niente di buono. Non solo la ‘Ndrangheta banchetta ai danni della povera gente. E per scoprirlo sono state determinanti le intercettazioni telefoniche, quelle ambientali. Ironia del caso le stesse che in questi giorni sono state centro di interesse della nostra politica nazionale.

Il coperchio è stato leggermente sollevato e “U bellu lavuru” è solo una parte di quel che c’è dentro.   

fonte:Antimafia 2000