Regge all’esame del gup il quadro accusatorio del pm della Dda di Reggio, Di Bernardo

Congiusta, giustizia è fatta
Condannati a 77 anni di carcere gli esponenti del clan Costa
di PINO LOMBARDO per il Quotidiano
REGGIO CALABRIA 24 giugno 2008 –
Due sole assoluzioni e 77 anni di carcere comminati agli altri 11 imputati coinvolti nel procedimento penale denominato "Lettera Morta",un’appendice del procedimento in corso a Locri, in Corte d’Assise, del processo per l’assassiniodell’imprenditore sidernese Gianluca Congiusta, tenutosi di fronte al Gup di Reggio Calabria, Daniele Cappuccio.
Tutti erano accusati, a vario titolo e con diverse responsabilità, oltre che del reato "conduttore" quello inerente l’aver fatto parte dell’associazione a delinquere di stampo mafioso della cosiddetta cosca sidernese dei "Costa", di una serie di specifici reati finalizzati a «rafforzare la cosca» e che vanno da quello del traffico di droga a quello estorsivo.
La sentenza emessa ieri dal Gup Cappuccio, che molto verosimilmente avrà delle ricadute sul procedimento in corso a Locri in Corte d’Assise che ha come imputati due leader del clan, Tommaso Costa e Giuseppe Curciarello, ha fatto evidenziare che il quadro accusatorio, illustrato dal sostitutoprocuratore della Direzione Distrettuale di Reggio Calabria, Antonio Di Bernardo,soprattutto durante l’udienza dello scorso 19 maggio quando ha chiesto lacondanna di tutti gli imputati, non solo è concreto ma ha sostanzialmente retto alla prova del giudice.
Infatti, tranne due assoluzioni piene e qualche assoluzione per reati secondari e specifici a favore di qualche imputato "marginale", le condanne comminate,considerata la circostanza che il procedimento si è svolto col cosiddetto rito abbreviato che determina "sconti di pena" per gli imputati,hanno sostanzialmente "rispettato" la richiesta della pubblica accusa.
Come si ricorderà il procedimento nei confronti delle 13 persone denominato"Lettera Morta" e che vedeva coinvolto l’intero clan dei Costa, uniche eccezioni,come dicevamo, Tommaso Costa, considerato il capo del ricostituente clan nonché il mandante e l’esecutore «unitamentea persone in via di identificazione» dell’assassinio di Gianluca Congiusta edil suo braccio destro, Giuseppe Curciarello, accusato solo di associazione di stampo mafioso che stanno affrontando il processo presso la Corted’Assise di Locri col rito ordinario dove a fine mese si celebreràuna altra interessante udienza.
L’inchiesta è nata a seguito delle investigazioni che la polizia del Commissariato di Siderno, dietro le direttive dell’allora dirigente capo, vicequestore Rocco Romeo e del suo vice, Francesco Giordano, per scoprire chi e perché fu ucciso Gianluca Congiusta.Quelle indagini fecero scoprire non solo che il mondo ‘ndranghetistico di Sidernosi andava "ricostituendo" con l´inserimento di clan e sottoclan che originariamente facevano parte di un unico gruppo denominato dei "Commisso", ma anche che a Siderno si stava ricostituendo il clan dei "Costa", stringendo alleanze con gruppi che in passato gli furono avversari, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di iniziative ideate ed organizzate dal capo del clan, Tommaso Costa, miranti a far "riconquistare" al clan un posto importante. Non a caso il sostituto Di Bernardo nel corso dell´udienza dello scorso 19 maggio chiedeva la condanna di tutti e 13 gli imputati.
La giornata di ieri iniziava con l´intervento difensivo effettuato dal penalista Leone Fonte che, dopo aver evidenziato la estraneità del proprio assistito dai reati contestatigli, ne chiedeva l´assoluzione.Quindi toccava al PM effettuare una breve replica di carattere tecnico-proceduraleed inerente la utilizzabilità, contestata dalle difese degli imputati, di alcune documentazioni da lui portate come prova contro.
Poi, poco prima le 13, il Gup Cappuccio si ritirava in Camera di Consiglio per uscirne intorno alle 16,30 e leggere la sentenza .
Due sole le assoluzioni. Quella di Giuseppe Costa per il quale erano stati richiesti12 anni di carcere e quella a favore di Annamaria Di Corso, per la quale il pm Di Bernardo aveva chiesto 5 anni di carcere e 24 mila euro di multa.
Grandi "sconti" anche per la moglie di Tommaso Costa, Adriana Muià. Il pm aveva chiesto per lei una condanna complessiva di 12 anni, il Gup l’ha prosciolta dai reati a lei contestati tranne che per quello di associazione mafiosa per il quale l’ha condannata a 3 anni di carcere.
Queste le condanne: Khaled Bayan anni 16,(il pm aveva chiesto 20 anni di prigione);
Adriana Muià ,3 anni, assolta per gi altri reati e condannata solo per l´associazione mafiosa ,(pena richiesta 12anni);
Antonio Cataldo, 3 anni e 14 mila euro di multa, (pena richiesta anni 6 e 4 mesi);
Francesco Costa, 12 anni, (pena richiesta 16 anni);
Pietro Costa ,8 anni più 1600 euro di multa, (pena richiesta 12 anni);
Giuseppe Costa Assolto, (pena richiesta 12 anni);
Annamaria Di Corso, assolta, (pena richiesta 5 anni e 24 milaeuro di multa);
Michele di Corso 8 anni, (pena richiesta 8 anni);
Valentino Di Santo 7 anni e 6 mesi, (pena richiesta 14 anni);
Nicola Trombacco il Gup ha integrato con 6 mesi aggiuntivi la condanna di 5anni che lo stesso aveva già subito in un altro procedimento in Puglia per i medesimi reati, (pena richiesta anni 5);
Cosimo Salvatore Panaia ,8 anni e 6 mesi , (pena richiesta 12 anni);
Antonio Zucco 6 anni, (pena richiesta 8 anni);
Roberto Zucco 4 anni e mesi 6 più 20 mila euro di multa, (pena richiesta 6 anni e 24 mila euro di multa);
Cosimo Salvatore Panaia ,8 anni e 6 mesi, (pena richiesta 12 anni).
Inoltre il Gup condannava tutti al risarcimento dei danni a favore degli enti costituitisi parte civile, Regione, Provincia ed associazione "Insieme si può”
Risarcite Regione e Provincia ed associazione “ insieme si può”
Soddisfatto papà Mario
SIDERNO – «Sono soddisfatto ». Questa la prima dichiarazione espressa "a caldo", pochi minuti dopo la lettura della sentenza da parte del Gup di Reggio Calabria, Daniele Cappuccio, da Mario Congiusta, il padre del giovane imprenditore sidernese Gianluca,assassinato la sera del 24 maggio 2005 a Siderno molto verosimilmente perché si stava adoperando per impedire che il futuro suocero, l’imprenditore Antonio Scarfò, venisse tartassato da richieste estorsive.
Il papà di Gianluca, accompagnato dal noto e stimato penalista Giuseppe Sgambellone in questa sua lunga battaglia finalizzata a far venire fuori laverità intorno alla morte del figlio, non ha nascosto la personale condivisioneper la sentenza emessa dal Gup reggino. Non a caso, infatti, ha dichiarato di essere «soddisfatto perché il lavoro degli inquirenti e quello della Procura ha trovato conferma in questa sentenza» .
La «soddisfazione» di Congiusta è stimolata anche dalla circostanza che gli imputati sono stati condannatia risarcire le parti civili. Infatti, quasi per sottolineare il non condiviso comportamento della amministrazione comunale di Siderno che,
«nascondendosi dietro motivazionidi manzoniana ed azzeccagarbugliana memoria»,
non si costituiva parte civile nel processo, Congiusta si è detto anche soddisfatto
«perchè istituzioni, enti ed associazioni quali la regione, la provinciae l’Associazione "Insieme si può", stimolati da me e dal comitato per il Diritto alla Vita, Libertà e Giustizia, costituito essenzialmente da giovani,hanno potuto ottenere l’accoglimento della loro richiesta risarcitoria».
Nel corso della dichiarazione Mario Congiusta ha auspicato che "questa rivoluzione culturale continui in tutti i processi contro la criminalità organizzata che opprime non solo la Calabria".
Ha inoltre effettuato una forte disapprovazione dell´uso indiscriminato del cosiddetto rito Abbreviato nei processi. Infatti non solo ha dichiarato che «disapprovo il cosiddetto rito abbreviato che concede sconti di pena», ma ha anche auspicato che «lo stesso vengaeliminato almeno per i reati di criminalità organizzata ».
p. l.
La guerra tra clan per il controllo di Siderno
Tutto iniziò con la lettera che Costa inviò alla moglie

SIDERNO – L’inchiesta “Lettera Morta” ha fatto emergere l’evoluzione dei clan a Siderno.
La “vecchia” cosca dei “Costa”, nonostante la sconfitta subita alle fine degli anni ottanta ad opera della contrapposta cosca cittadina dei “Commisso”, con la quale, fino a qualche anno prima, costituiva una fondamentale “costola” dello storico casato ‘ndranghetistico guidato dal carismatico boss “Ntoni Macri”, si stavariconquistando quegli “spazi criminali” che era stata costretta ad abbandonare a seguito della sanguinosa faida combattuta, e persa, contro i “Commiso”.
Quella sconfitta costrinse i “Costa” ad “abbandonare il campo” ma adesso erano ritornati a Siderno e volevano riconquistare quello che “era loro”. E Tommaso Costa dirigeva ed organizzava il gruppo criminale, stabilendo lestrategie da seguire, impartendo disposizioni agli altri associati, partecipando alle attività estorsive e, come sostengono gli inquirenti, decidendo di uccidere Gianluca Congiusta,.
Le direttiva Costa le impartiva con delle missive dal carcere. Fedeli esecutori erano, secondo quanto sottolineato dagli inquirenti, Giuseppe Curciarello che effettuavava«per conto» di Tommaso Costa rapporti con altri malavitosi e con le vittime della attività estorsiva, partecipando alle estorsioni. Ma anche Francesco Costa che dava vita alle direttive impartite dallo zio Tommaso «fungendo da ambasciatore, recapitando i messaggi relativi agli affari del sodalizio criminale». Nonché la moglie stessa del boss.Adriana Muià,che avrebbe anche lei ricoperto il ruolo di «ambasciatore, recapitando i messaggi relativi agli affari del sodalizio criminale, partecipando all’attività estorsiva». Non a caso la famosa lettera estorsiva ai danni di Antonio Scarfò, suocero di Congiusta
(“Se tu non provvedi a sistemare sto fatto può darsi che la decisione è quella di ucciderti.
Altra cosa se tu dai soldi ad altri a noi fa piacere e non ti dico di non darli, anzi li dai ad altri e pure a Tommaso così non rischi con altri …quando poi debbo spararti …non avrei fatto il nome di Tommaso e sei mi ha autorizzato a parlarti chiaro è perché se sbagli ti farà ammazzare »),
Tommaso Costa, prima la annunciò alla moglie in carcere e poi la spedì in una lettera a lei indirizzata.
Ma soprattutto la spregiudicata «strategia delle alleanze», che avrebbe adottato Tommaso Costa, avrebbe dato quel “nuovo vigore” al clan. Il boss,infatti,oltre a tenere solidi e continui legami con diverse e storiche cosche calabresi e pugliesi, a Siderno, aveva dato il via ala alleanza con un suo storico “nemico”.
Con quel Sasà Salerno che durante la faida contro i “Commisso”, faceva parte del gruppo di fuoco di questa consorteria mafiosa ,ma che adesso andava, anche lui, dopo anni di spietato esecutore d’ordini, alla ricerca di un “posto al sole” nella gerarchia del ghota ‘ndraghetistico di Siderno. Ma quando la meta sembrava essere raggiunta ecco che l’estorsione messa a punto contro l’imprenditore Antonio Scarfò, futuro suocero di Gianluca Congiusta, funzionò da granellino che fece inceppare la ben oleata macchina criminale messa a punto da Tommaso Costa facendo finire in prigione la maggior parte del sodalizio criminale.


Antonio Scarfò e la moglie Raso Girolama
La sentenza di sostanziale condanna emessa ieri dal Gup di Reggio Calabria nei confronti di 11 imputati su 13, nel confermare la tesi accusatoria ha documentato che gli elementi indicati dagli investigatori si sono basati su specifici fatti concreti.
p.l.