Locri. In aula Antonio Scarfò,futuro suocero di Gianluca parla della lettera estorsiva
L’Industriale antonio scarfò
“ La morte di Gianluca potrebbe essere collegata ai danneggiamenti subiti”
LOCRI – La morte di Gianluca Congiusta potrebbe essere collegata ai danneggiamenti estorsivi che Antonio Scarfò, suocero della vittima, stava subendo. E’ quanto emerso dall’audizione di Scarfò in Corte d’Assise di Locri presieduta dal giudice Bruno Muscolo con a latere il togato Frabotta, nell’ambito del procedimento penale per l’assassinio di Congiusta che vede alla sbarra Tommaso Costa, accusato di associazione e di aver organizzato il delitto, e Giuseppe Curciarello con la sola accusa di associazione a delinquere.
L’udienza di ieri si apriva con la richiesta di un rinvio effettuata dai difensori di Curciarello, Leone Fonte e Grosso, con la motivazione che erano impegnati in altri procedimenti, rigettata dalla Corte che affidava ad un avvocato d‘ufficio, il penalista Giuseppe Spadaro, la difesa dell’imputato.
Poi sul banco dei testimoni sedeva l’imprenditore Scarfò, parte offesa nel procedimento, e destinatario della missiva estorsiva del 19 dicembre 2003 inviata da Tommaso Costa dalle carceri di Palmi, dove si trovava ristretto.
Secondo l‘accusa, quella lettera, ricevuta dalla moglie di Scarfò, Girolama Raso, e della quale Gianluca Congiusta si fece una copia dopo aver suggerito alla futura suocera di distruggerla e non dire niente a nessuno, ed il tentativo che il giovane avrebbe fatto per tutelare il futuro suocero, sarebbero state alla base del delitto. Due i quesiti che ininterrottamente il sostituto De Bernardo ha posto al teste, cercando di “aiutarlo” a ricordare attraverso la lettura delle dichiarazioni da lui rese al Commissariato di Siderno e dalle intercettazioni telefoniche di sue conversazioni con rappresentanti di altre azienda.
La motivazione del perchè, “avete visto il nome di Tommaso Costa ed avete avuto paura? – chiedeva più volte il Pm – non avesse denunciato l’arrivo di quella lettera di minacce, l’unica che contenesse il nome del possibile estorsore, lui che aveva denunciato, seppure “contro ignoti”, tutti i danneggiamenti subiti dal 2001 al 2005. Nonché se collegava l’assassinio di Gianluca Congiusta a quella lettera ed ai danneggiamenti subiti.
La testimonianza dello Scarfò è stata sofferta, con molti “non so spiegarmi” e “non l’ho fatto”, come quella di un uomo che – come lui stesso evidenziava – non ha paura per se,ma per i propri familiari.
L’imprenditore, però, dopo aver risposto con un secco “no” alla domanda del Pm circa la possibilità che la morte del genero potesse essere collegata con i danneggiamenti subiti, a seguito della rilettura da parte del presidente Muscolo della conversazione telefonica intercorsa con un rappresentante di una impresa del centro Nord, ed effettuata fatta l’11 novembre del 2005, sei mesi dopo l’uccisione di Gianluca Congiusta, nella quale non solo malediceva il giorno in cui aveva iniziato “questa struttura”, ed elencava i danneggiamenti subiti ma concludeva che “l’ultimo mi hanno ammazzato mio genero”, nel ribadire che mette “tutto in una pentola”, affermava anche che ,secondo lui, possono essere “collegabili tra di loro”.
Scarfò nel corso della sua testimonianza, “aiutato” dal sostituto De Bernardo, ha ricostruito la vicenda delle sue due aziende, i finanziamenti ottenuti con la legge 488 e con il Patto Territoriale per la Locride (oltre 2 miliardi e 600 milioni di vecchie lire per la Ilas destinati a realizzare l’immobile ed acquistare i macchinari, e circa un miliardo e mezzo per la Acer destinati ad acquistare i macchinari), la dichiarazione di fallimento a causa dei ritardi con cui gli sono state erogate le trance del finanziamento (3 milioni di euro di interessi ho dato alle banche in tre anni),ed il tentativo di risanare il tutto con la vendita dell’imprese a due aziende, una sidernese e l’altra fiorentina, fallito perchè il Tribunale metteva in liquidazione l’azienda.
Il futuro suocero di Gianluca Congiusta ha ammesso di conoscere Giuseppe Curciarello (“l’ho conosciuto 10/12 anni fa sulla spiaggia a Siderno, frequentavamo lo stesso stabilimento balneare”), e che questi una volta nel 2004 si era recato nella sua azienda a chiedergli dei pezzi d’acciaio che lui gli diede.
Così come ha ammesso di sapere chi fosse Tommaso Costa (“Si so chi è. Lo conosco dai giornali e poi in un paese le cose bene o male si sa chi è”), e di averlo incontrato una sola volta, tra marzo e maggio del 2005 “prima dell’uccisione di Gianluca”. L’imprenditore affermava che Tommaso Costa si era recato presso la sua azienda, due-tre mesi dopo l’arresto del fratello Pietro che lavorava presso la “Ilas” come meccanico, “per sollecitare gentilmente, da persona normale e non con arroganza”, il pagamento delle mensilità che accreditava il fratello, “circa 4/5 mila euro”.
La testimonianza di Scarfò continuerà il 2 dicembre.
Pino Lombardo per il Quotidiano