Videointervista a Petra Reski Giornalista tedesca Esperta di ?ndrangheta

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Petra Reski: Non mi lascio intimorire

di Monica Centofante – 2 aprile 2009


“Se vuole essere il tentativo di ridurre al silenzio un giornalista allora fallirà”.
Petra Reski, giornalista tedesca, tra le maggiori esperte di mafie italiane all’estero, è determinata a proseguire la sua battaglia.
 

  In difesa del suo libro, “Mafia. Von Paten, Pizzerien un falschen Priestern” (Mafia. Di padrini, pizzerie e falsi sacerdoti), censurato dal Tribunale di Monaco in applicazione di un provvedimento d’urgenza scattato in seguito alle denunce di Spartaco Pitanti. Italiano trapiantato in Germania e sospettato dalla Polizia criminale tedesca (Bka) – già in un rapporto risalente all’anno 2000 – di essere tra i protagonisti della ‘Ndrangheta esportata in Europa.
Dalla fine dello scorso anno il nome di Pitanti è stato cancellato dalle pagine del libro della Reski. Ed il prossimo 7 aprile inizierà davanti alla Corte d’Appello di Monaco il dibattimento d’appello contro la sentenza che il passato 15 dicembre, in primo grado, ha confermato il provvedimento di censura (temporaneo) ottenuto dai legali del Pitanti.
Solo uno dei tanti attacchi incassati dalla giornalista, che a causa delle sue coraggiose inchieste ha subito intimidazioni mentre si vede costretta a difendersi in cinque differenti processi. “Denunce per diffamazione”, spiega all’Avvenire, e “anche due denunce penali, di cui una è stata già archiviata e l’altra è ancora in corso. Per una giornalista freelance come me, ciò significa essere sempre occupata con giudici e avvocati”. Una “tattica, soprattutto qui in Germania per cercare i rovinare i giornalisti che scrivono di mafia, paralizzando le loro attività, intimidendoli e minacciandoli tramite le denunce”.
L’8 aprile, quasi in contemporanea con quello di Monaco, si terrà a Düsseldorf l’udienza di un altro processo, seguito invece al ricorso di Antonio Pelle e Rolf Milser, proprietari dell’hotel Landhaus Milser (che ospitò gli azzurri ai mondiali del 2006). Nomi già al centro di diverse polemiche e tremendi sospetti, ma che non vogliono si parli di loro.
Nel rapporto del Bka Pelle e Milser sarebbero citati più volte. Pelle, in particolare, perchè sospettato di essere legato ad ambienti di 'Ndrangheta, accusa dalla quale si è sempre difeso rivendicando la sua onestà. Mentre il Tribunale di Düsseldorf ha respinto in primo grado la loro richiesta di censurare anche i loro nomi nel libro della Reski, motivo per cui hanno fatto ricorso in appello. Per poi sporgere denuncia al Tribunale di Monaco nella speranza che venga avviato un processo più serio contro la giornalista e la casa editrice del suo libro, la Droemer Verlag.
Se l’intento era quello di intimorire giornalista e casa editrice però, come ha lasciato intendere Petra Reski, è chiaro che non è riuscito. Sia l’una che l’altra sono infatti intenzionate a non retrocedere di un passo, sicure di vincere la loro battaglia legale, non da ultimo, spiegano, perché le inchieste di Petra Reski sono fondate su una serie di prove estremamente convincenti. E in parte confermate da una recente inchiesta di Paolo Tessandri, del settimanale l’Espresso.
In un articolo dal titolo “Il padrino parla tedesco” il Tessandri ha infatti citato due rapporti riservati della polizia federale di Berlino, “frutto della collaborazione fra polizia tedesca, i Ros dei Carabinieri e la polizia italiana, che formano la task force creata dopo Duisburg”. Nei documenti sono segnalate “le attività di 229 clan ed elencati quasi 900 fra capibastone, affiliati e amici delle cosche”. Tra questi spunterebbe Spartaco Pitanti. Secondo l’inchiesta a capo di un clan insieme ad Antonio Mammoliti e Domenico Giorgi.
Lo stesso Pitanti, si legge ancora, “è indicato come il finanziatore di molti nuovi ristoranti a Dresda e dintorni. Molti dei locali, sempre secondo la polizia di Berlino, ‘sono stati finanziati con il commercio della droga’.”

Le accuse sono pesanti e chissà se nel processo contro Petra Reski il Tribunale di Monaco ne terrà conto. 

Intervista a Petra Reski

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"Intervistatore (I.): Petra Reski, scrittrice e giornalista, è autrice di un libro sulla 'ndragheta scritto in lingua tedesca, considerata in Germania la miglior opera sull'argomento. Secondo lei perché le mafie, in particolare la 'ndragheta, si sono così radicate all'estero?

Petra Reski (P.R.): Perché le leggi estere permettono cose che non si possono fare in Italia, per esempio in Germania non esistono intercettazioni ambientali nei locali pubblici, e anche nelle case è molto difficile intercettare, gli investimenti frutto di riciclaggio è molto più facile farli in Germania che in Italia. Il reato di associazione mafiosa in Germania non esiste, dunque un soggetto della mafia può tranquillamente investire tutti i suoi soldi in Germania senza essere controllato.
Ci sono migliaia di casi di, chiamiamoli "pizzaioli", che vengono a lavorare in Germania con un reddito mensile di 800 euro e magari si comprano un albergo, oppure delle strade intere.

I.: Per cui c'è un po' di connivenza anche con qualche tedesco?

P.R.: Per forza! Senza connivenza sarebbe impossibile anche in Germania. I tedeschi si credono, purtroppo, un po' superiori al problema che non vedono, pensano che la mafia sia un fenomeno solo italiano, di regioni un po' arretrate del Sud Italia, dunque una cosa che non potrebbe mai succedere in Germania, e invece in Germania è come in Italia. Con l'aiuto dei politici, delle istituzioni e di avvocati disponibili, nella Germania degli ultimi 40 anni sta accadendo ciò che accade in Italia da 150 anni.

I.: Ma ci sono zone più esposte a questo fenomeno oppure?

P.R.: Sì, questi mafiosi in Germania sono arrivati come emigranti purtroppo. Nell'epoca degli anni '40 hanno iniziato a installarsi nelle zone industriali tedesche. Dunque i centri della 'ndragheta sono Duisburg, tutta la zona della Ruhr, Dortmund, tutt'attorno a Stoccarda.
Dopo la caduta del muro di Berlino, verso la metà degli anni '90, una parte della 'ndragheta si è trasferita a Lipsia e in Sassonia.

I.: Infatti lei ha accennato alla vicenda di Duisburg in cui ci furono 6 morti uccisi dalla 'ndragheta, e lei ha scritto un libro su questa vicenda e ha avuto anche delle minacce.

P.R.: Sì diciamo che ho avuto delle minacce velate che solo un italiano potrebbe capire molto bene perché per un tedesco sarebbe un po' più difficile, come quando in un'occasione della presentazione del mio libro, ad Hartford, cioè in Turingia, erano presenti dei personaggi tedeschi che prima spiegavano in lungo e in largo che il riciclaggio in Germania sarebbe impossibile, e poi, con degli italiani presenti, si felicitavano espressamente per il mio coraggio, dicendomi "ammiro il suo coraggio, signora!". Questo pochi istanti dopo aver fatto discorsi in difesa di certi personaggi che mi hanno fatto causa per ciò che ho scritto nel mio libro. Dunque, per me, il messaggio era chiaro. Vivo da 20 anni in Italia e da 20 anni mi occupo di mafia, dunque quella situazione, in quel momento mi ricordava Michele Greco, che davanti al Tribunale durante il maxiprocesso: "io ho un dono inestimabile, signor giudice, questa è la pace interiore, auguro a lei e alla sua famiglia una lunga vita".

I.: Ma lei nel suo libro ha rivelato cose utili ai giudici per il proseguo dell'inchiesta?

P.R.: Sì, perché ovviamente, in seguito al massacro di Duisburg, la Polizia federale, già prima, seguiva l'attività di certi clan, soprattutto quelli legati alle vicende di Duisburg, dunque in quel caso da parte del clan non c'è nessun interesse di suscitare l'attenzione pubblica.

I.: Certo, ma lei ha scritto dei nomi su questo libro che sono stati censurati!

P.R.: Sì.

I.: Il governo italiano dice che è tutto sotto controllo, alcuni addirittura dicono che in Italia la mafia non esiste.

 P.R.: Addirittura?

I.: Sì, Beh Dell'Utri l'ha detto diverse volte.

P.R.: Ah sì è vero! Sì, anche in Germania dicono che la mafia non esiste. E' divertente questo da sentire perché mi ricorda un mafioso attivo a Milano negli anni '60, che dopo essere stato arrestato disse: "la mafia cos'è? Un tipo di formaggio?" dunque la stessa cosa ora vale per la Germania.
Siccome per i tedeschi la mafia è una cosa molto folkloristica da film, del padrino, di romanzi eccetera, loro non possono neanche vagamente immaginarsi, che il gentile pizzaiolo che saluta, e questo lo so anche da parte di questi che sono stati uccisi a Duisburg, rinomati per essere stati dei buoni vicini, molto gentili e disponibili, per un tedesco è impossibile immaginarsi questo.
E la politica tedesca, a parte il suo coinvolgimento diretto in particolari casi, per loro riconoscere l'esistenza della mafia in Germania è un grande problema perché ne creerebbe uno più grande nella coscienza pubblica, e soprattutto l'unico problema per il governo tedesco sono gli islamisti, non la mafia.
 

I.: Ma i nomi che lei ha fatto in questo libro, li ha scoperti lei tramite indagini sue proprie, oppure com'è riuscita a raccogliere tutti questi elementi che hanno messo insieme un quadro così variegato e anche inquietante, della realtà mafiosa in Germania?

P.R.: Io veramente sono stata tirata dentro perché mi sono sempre occupata di mafia solo in Italia, dunque questo era il seguito di Duisburg, grazie al lavoro di giornalisti italiani ai quali rivolgo l'elogio perché sono molto più bravi di quelli tedeschi a dire la verità, perché loro sono stati i primi a fare i nomi degli italiani coinvolti nelle attività della 'ndragheta in Germania

I.: Tipo? Di questi nomi?

P.R.: Non posso fare i nomi perché…

I.: non li può fare

P.R.: praticamente la mia attenzione è nata in seguito alla lettura dei giornali italiani, dopo ho approfondito l'argomento in Germania, con le conferme che mi venivano dalle indagini della Polizia tedesca.

I.: Lei attualmente vive in una località che non si dice perché ha avuto queste minacce, ma quante cause ha collezionato con questo libro finora?

P.R.: Attualmente siamo arrivati alla quinta causa e due denuncie penali di cui una è già stata archiviata e adesso vediamo

I.: ma per che motivo?

P.R.: per ora ho subito il cosiddetto provvedimento di urgenza per proteggere i dati personali delle due persone di cui ho parlato nel mio libro. Questa richiesta fu accolta dal Tribunale di Monaco di Baviera e di Duisburg in questo caso. Adesso facciamo ricorso perché sono stata denunciata per calunnia e cose varie…

I.: ha paura lei? P.R.: No

I.: Quindi continuerà a fare il suo lavoro?

P.R.: Certo! Assolutamente. Perché non mi sarei mai aspettata che il mio lavoro di indagine fosse vero come è stato confermato adesso.

I.: Ma secondo lei le economie nazionali europee, hanno bisogno della mafia o no?

P.R.: In Germania io posso solo dire una cosa: in tanti hanno chiuso gli occhi davanti agli investimenti della mafia, e li chiudono tuttora. Soprattutto da dopo la caduta del muro i soldi della mafia nell'est erano i benvenuti, purtroppo, e tuttora spesso si sa però si finge di non sapere. In Germania il riciclaggio viene considerato un delitto minore. Dunque perciò bisogna tenere d'occhio per così si distrugge non solo l'economia ma la democrazia in generale. Se un 'ndraghetista si compra un albergo oppure un immobile, rovina la concorrenza leale. E questo è un problema per la democrazia ovviamente, perché loro, tramite le loro proprietà vogliono esercitare anche un'influenza politica, in Germania.

I.: E che ne sappia lei, in Olanda, Belgio, Gran Bretagna, Norvegia e tutta la Scandinavia in generale, la situazione com'è con le mafie?
Io so che tutto ciò che sto raccontando sulla Germania, non è molto diverso per questi Paesi.

I.: Mafie importate dall'Italia?

P.R.: Importate dall'Italia. Ma soprattutto il problema più grande è che in quei Paesi il reato di associazione mafiosa non è un reato penale. Ad esempio in Germania le pene per il reato di associazione a delinquere sono minime. In Germania un mafioso può girare tranquillamente. Forse è questa la cosa più importante: associazione mafiosa dev'essere reato in tutta Europa, perché in questo caso si potrebbe già arrestare uno che arriva da San Luca di cui si sa appartenere a un clan. I mafiosi in Germania non commettono errori.

I.: Per quanto concerne il suo libro è scritto soltanto in lingua tedesca?

P.R.: Sta per essere tradotto in 5 lingue fuorché l'italiano, purtropppo.

I.: Perché?

P.R.: Non lo so, devo dire che ci sono un sacco di ottimi libri sulla mafia, scritti da italiani che sono profondi conoscitori della mafia. Per una casa editrice italiana la mafia non è un argomento nuovo, dunque le capisco.
Ma la definizione di Gomorra tedesca che è stata data al suo libro è esatta oppure no? Rispetto a Saviano.
Io trovo uno scandalo che uno come lui debba vivere nascosto mentre i mafiosi girano liberi. Trovo altrettanto scandaloso che uno venga sepolto da processi per un libro. Dimostra quanto loro ci temono." 
 

Fonte della notizia: Antimafia 2000