Stefano Cucchi, l’indignazione non imbratta i muri.

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Stefano Cucchi, l’indignazione non imbratta i muri.

di Franco Gallelli, coordinatore regionale Calabria Protagonista

Chi di noi alla notizia della morte del giovane Stefano Cucchi non ha provato un misto di commozione e rabbia? Commozione per l’assurda morte di un ragazzo che ancora doveva scoprire la bellezza di una vita senza la schiavitù della droga e ritornare alla vera felicità, quella preziosa e sincera della propria famiglia e degli amici che ti vogliono bene. Rabbia per un coinvolgimento, ancora tutto da chiarire, di apparati dello Stato.

 

Con questi pensieri nell’anima, domenica mattina mi accingevo a raggiungere il lungomare di Catanzaro Lido per approfittare di un po’ di sole, incontrare qualche amico, respirare un po’ d’aria del nostro mare ancora buono. Mentre stavo per attraversare la strada che divide i palazzi dal lungomare, una grande scritta nera attrae la mia attenzione.  Come si può vedere dalla foto, tale scritta campeggia su un’ampia superficie di un fabbricato, probabilmente oggetto di un recente lavoro di restauro esterno. Doppio pugno allo stomaco. Il primo per l’evidente sconcezza della scritta che deturpa l’armonia e il decoro, non solo del fabbricato in questione, ma di tutto il paesaggio urbano. Il secondo arriva dal contenuto della scritta “NO ALLE TORTURE NELLE CARCERI E NELLE CASERME” e “A.C.A.B.”, acronimo di “All Corps Are Bastards”, cioè tutti i poliziotti sono bastardi, slogan che gli ultrà inglesi hanno esportato in tutto il mondo; in più, sempre a corredo della scritta, due “A” cerchiate , simbolo dell’anarchia. Ed è proprio a questo punto che mi chiedo: ma Sacco e Vanzetti sono morti perché andavano ad imbrattare i muri; magari di palazzi dove vivevano operai, gente modesta come la nostra, che per contribuire alle spese condominali per la tinteggiatura, rinunciano alle vacanze o ad un paio di scarpe? E poi – Pasolini insegna – siamo proprio certi che le prime vittime di un sistema autoritario non siamo proprio i tutori dell’ordine, costretti ad indossare una temuta divisa per fame o miseria? E ancora: ma che cavolo centra imbrattare i muri con una lotta sacrosanta e giusta che intende risvegliare la coscienza di un popolo distratto? Se la verità dalle istituzioni non arriva o viene, come d’uso nel nostro paese, celata, tanto i soliti delitti irrisolti distolgano l’attenzione sui reali problemi del paese, perché prendersela con il candore di un fabbricato appena dipinto? Sapete cari amici autori di questo “meraviglioso” gesto politico come andrà a finire? Che i benpensanti reclameranno una telecamera ad ogni angolo della città. Ed è noto che, anche con tutti i travestimenti di questo mondo, con le riprese video, alcuni di voi saranno beccati e magari andranno a piangere dal paparino avvocato per essere tirati fuori dai guai, giurando che era solo uno scherzo, un innocente graffiti! Comunque non ve ne faccio una colpa, e in fondo vi assolvo, quali sono i vostri testimoni? I luminosi esempi da imitare dei tempi attuali? Mentre voi imbrattate i muri, “altri” imbrattano la Storia, sia quella personale che quella collettiva. Per cosa saranno ricordati questi tempi? Proviamo a chiederlo alle nostre coscienze. Un ultimo consiglio, invece di “incazzarci” di notte e prendercela con un muro innocente, scendiamo insieme nelle piazze a reclamare una vera giustizia, priva di personalismi, inciuci e aggiustamenti, forse questo sarebbe più condiviso dai martiri come Stefano e darebbe più senso alla loro insensata morte.