16 storie dall’avamposto Calabria

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Natale (Fnsi): denunciare e raccontare queste storie è la miglior difesa per i giornalisti

Una strada. Quella che da San Luca conduce al santuario di Polsi. La fatiscenza di quella strada, e l’appalto per sistemarla. Il primo lotto vinto nel 1996 da una ditta di Crotone e il subappalto a un’impresa sanluchese. Soldi, 12 milioni di euro, che scompaiono nel nulla. Nulla ne sa il proprietario della ditta di San Luca, un Nirta incensurato. Nulla si sa di quella crotonese, nel frattempo fallita. La via dei pellegrini devoti che è ancora poco più di una mulattiera.  Una bella storia da raccontare. Per un giornalista. Un giovane corrispondente che, quando può, dà una mano al padre barbiere a Bovalino. Quel giornalista di 23 anni quella storia la racconta, firma il pezzo che esce in pagina, sul Quotidiano della Calabria, il 4 settembre, due giorni dopo il retorico via vai di politici al santuario della “madonna della ‘ndrangheta”. Riti, usi, costumi, tradizione, Osso e Mastrosso. Ma anche, soprattutto, affari, speculazione, ladrocinio di soldi pubblici. Accade così, che in un sabato di settembre, proprio sotto la vetrina del negozio del padre, il giornalista Ferdinando Piccolo trova una busta, cinque pallottole e un messaggio di morte: “la ‘ndrangheta non scherza, continua così e sei un morto che cammina”.

Nove mesi, dalla macchina della compagna di Francesco Mobilio, cronista del Quotidiano, avvolta in un rogo lo scorso 27 dicembre a Vibo. In nove mesi sedici cronisti calabresi sono finiti nel mirino. Uno ogni due settimane. Lo strano furto dei computer subito di recente da Emiliano Morrone, autore di un coraggioso libro inchiesta. La tanica di benzina abbandonata sulla veranda di Lucio Musolino, di Calabria Ora, da sempre in prima linea nel racconto della cronaca giudiziaria a Reggio. Parole di morte imbustate il 22 luglio a Saverio Puccio del Quotidiano dopo l’ennesimo pezzo sul Comune di Borgia sciolto per mafia. Sei giorni prima una lettera minatoria arriva a Riccardo Giacoia, giornalista di Rai Calabria.  Telefonate in cui il 5 luglio si promettono fucilate a Pietro Comito di Calabria Ora perché aveva scritto delle nuove leve del clan Soriano di Vibo Valentia. Minacce e insulti al citofono due giorni dopo al collega di testata Guido Scarpino. La telefonata con sentenza di morte ad Antonio Anastasi, che tre anni fa è stato picchiato selvaggiamente a due passi dalla redazione di Crotone del Quotidiano. Quella “sappiamo chi sei e dove abiti” a Giovanni Verduci dello stesso giornale, redazione di Siderno, la stessa dove da sotto la porta a marzo hanno fatto scivolare una cartuccia calibro 12 con incollato il nome di Michele Inserra.

Le ennesime pallottole imbustate a Leonardo Rizzo, freelance di Cariati. L’auto esplosa a Reggio Calabria del blogger Antonino Monteleone. Lettere anonime ancora nel Reggino a Michele Albanese del Quotidiano, a Giuseppe Baldessarro, corrispondente di Repubblica, Filippo Cutrupi del Giornale e QN. Nello stesso periodo le minacce, anche se non riconducibili con certezza all’attività di cronista, sono arrivate anche Corrado L’Andolina avvocato che collabora con Calabria Ora e a Giuseppe Soluri, presidente dell’Ordine dei giornalisti calabrese.  «Dal gennaio di quest’anno – ci dice il Procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone – si registra un forte aumento della tensione in tutto il territorio calabrese. Questi numeri dimostrano che l’esercizio di ciò che è considerato normale nel resto del Paese, la libertà di stampa, in Calabria è percepito come qualcosa di straordinario a causa della pervasiva attività delle cosche. Questa regione poi è succube di uno storico isolamento informativo. Far conoscere le storie dei cronisti minacciati è invece la prima e fondamentale forma di tutela della loro incolumità.»

Gli fa eco Roberto Natale, presidente nazionale FNSI: «Parlarne è di sicuro la miglior difesa. Tanto più piccolo e meno conosciuto è il posto del quale questi cronisti si occupano, tanto più grande è il rischio che corrono. Oscurare le loro storie significherebbe isolarli ancora di più. Mantenere accesa l’attenzione contribuisce inoltre a fare aumentare le denuncie delle minacce subite, comportamento che il sindacato ovviamente auspica e favorisce.»

* Collaboratore di Ossigeno per l’informazione, autore del libro “Avamposto Calabria”