La sua naturale eleganza (Il nostro abbraccio ai familiari di Luca Congiusta)
pubblicata da AVAMPOSTO. Nella Calabria dei giornalisti infami il giorno sabato 18 dicembre 2010 alle ore 15.25
Gianluca Congiusta in un murales di Nik Spatari
Oggi è giorno di sentenza al tribunale di Locri. Un giudice dirà se Tommaso Costa è stato l’organizzatore e l’esecutore materiale dell’omicidio di Gianluca Congiusta, il giovane imprenditore assassinato a Siderno il 24 maggio del 2005.
Rivediamo i volti e le espressioni della sorella Roberta e del padre Mario e li immaginiamo, oggi, pietrificati dalla paura di veder svanito in pochi minuti le battaglie e le sofferenze degli ultimi anni. Non accada! Siamo con loro: FORZA!
Roberta Mani e Roberto Rossi
La sua naturale eleganza
(da “Avamposto. Nella Calabria dei giornalisti infami” pag. 65-67)
Luca aveva trascorso l’infanzia in una traversa di Corso Garibaldi, a cento metri dalla stazione dei carabinieri di Siderno. È lì che incontriamo il padre Mario, un uomo magrissimo, scarno in volto. Di un garbo aristocratico. Un uomo in lotta.
Dopo l’omicidio si è dedicato anima e cuore alla lotta per conoscere la verità, per combattere a favore della diffusione della cultura della legalità. Sempre in testa alle manifestazioni antimafia, sempre a chiedere giustizia e verità. Con lo sciopero della fame. Piazzandosi col suo maggiolone giallo davanti al tribunale e mostrando ai passanti i cartelli sui quali ogni giorno scriveva i giorni passati in attesa di sapere killer, mandanti e movente dell’omicidio di Luca: 596 volte. Raccontando la sua storia a Riccardo Iacona in una trasmissione speciale andata in onda da piazza Fortugno, quella del tribunale di Locri.
Ci viene a prendere in strada, fuori dal cancello. All’ombra degli alberi di agrumi del giardino di casa, il maggiolone di tante battaglie con la foto del figlio impressa sulla fiancata.
«Quel giorno stavo vedendo un documentario sulla seconda guerra mondiale. Bussano. Poliziotti in borghese alla porta. Lì per lì, la prima cosa è stata chiamare Luca. Ma poi mi sono fermato. Non ho fatto niente, dico fra me e me. E apro alla polizia. Mi dicono: Gianluca ha avuto un incidente molto grave. Mi ricordo che avevo le chiavi di casa in mano. Le ho sbattute contro il muro perché avevo capito che c’era qualcosa di strano. Notizie del genere non arrivano dalla polizia, arrivano dall’ospedale, in altri modi, non da agenti in borghese. Siamo andati sul posto. Ho visto la macchina, la zona era transennata, non ci facevano avvicinare. Poi, pian piano abbiamo scoperto che era stato ucciso».
«Le indagini – continua Mario – sono andate a rilento. In tutta la Locride allora c’erano trentadue casi irrisolti, gli uomini disponibili a indagare erano pochissimi, la maggior parte delle energie erano impegnate a risolvere l’omicidio di Francesco Fortugno. Si è indagato in tutte le direzioni. Le attività di Gianluca, l’usura, il delitto passionale. Poi, dopo quasi due anni è stato individuato in Tommaso Costa il mandante e l’esecutore materiale del suo omicidio, uscito di galera grazie all’indultino».
Mentre lo guardiamo, mentre ascoltiamo le sue parole, il tono e la fermezza del suo messaggio, consideriamo gli effetti che può avere il dolore per la morte violenta di un figlio. Sfianca, paralizza, uccide a sua volta. Per Mario no, per l’anima di quest’uomo minuto che incontriamo una sera in Calabria, la sofferenza ha prodotto un impegno e un senso di ribellione tale da contagiare le tante, tantissime persone che hanno patito la sua stessa irragionevole fitta al cuore. «Quest’anno – racconta – sono andato a Milano per la manifestazione organizzata da Libera in ricordo delle vittime di mafia con dei guanti bianchi macchiati di vernice rossa e con scritto sopra: abbiamo ferite che solo noi vediamo. Il nostro non è un dolore che può essere trasmesso. Lo può capire chi ha passato le stesse pene. Chi non l’ha vissuto può dire: mi dispiace. Punto. E allora che facciamo? Ci scambiamo il dolore tra noi familiari?».
No. Mario non è uomo da piangersi addosso. Gestisce un sito e conduce le sue battaglie per una «giustizia giusta» a suon di post e cartelli. Lo scorso marzo, si è anche candidato al Consiglio regionale. «Volevo capire se esiste la possibilità di un voto d’opinione in Calabria – dice – e ho sperimentato sulla mia pelle che ancora ne siamo lontani». Appesi alle sue spalle, gli slogan della sua seconda vita: No al gratuito patrocinio per i mafiosi. Certezza della pena. «Non mi può soddisfare una condanna quando so che dopo 14 anni l’assassino è fuori. Sarei soddisfatto se si riportasse l’ergastolo a fine pena mai. Mio figlio è stato ucciso da una lupara che è uscita di galera grazie ad uno sconto di pena».
Il fervore di quest’uomo è intenso, ma non tradisce mai la sua dignità, la sua naturale eleganza: «La mia battaglia è per tutte le vittime innocenti della mafia. I commercianti che denunciano non hanno tutela. Capita tutti i giorni che si ritrovino davanti, in libertà, i loro aguzzini. E i parenti delle vittime, che nel giro di pochi anni che vedono camminare per strada l’assassino, che fanno? Non resta che rintanarsi in casa, chiudersi, ritirarsi nel privato. Come la gente. La società civile che perde fiducia nella giustizia e lascia campo libero ai mafiosi».
«Soli – incalza Mario – soli, come i genitori orfani di un figlio che si ritrovano abbandonati in tribunale durante il processo, sfidati dagli occhi beffardi di chi ha premuto il grilletto». Costituzione di parte civile delle istituzioni nei processi di mafia, perché la solitudine venga smorzata. L’ennesima battaglia di Mario Congiusta è questa: «Ci siamo assuefatti – rilancia – viviamo in un ambiente dove tutti si sono abituati al dominio delle cosche. Ora la mentalità sta un po’ cambiando. Considerate che fino a cinque anni fa le famiglie delle vittime non si costituivano parte civile perché venivano minacciati, oggi questo passo avanti l’abbiamo fatto. Oggi si costituiscono le associazioni, gli enti, i Comuni, le Provincie, la Regione. E questo fa bene alle famiglie che non si sentono abbandonate, fa bene alla comunità che riacquista fiducia, fa bene ai bilanci pubblici. La regione Calabria fino a oggi ha incassato centinai di migliaia d euro costituendosi parte civile nei processi di mafia».
Al processo per l’omicidio di Gianluca Congiusta si sono costituiti parte civile, numerose associazioni, la Regione e la Provincia. Mario ha chiesto pubblicamente che lo facesse anche il Comune di Siderno. Nulla, picche, silenzio. Il municipio non ha mai preso parte a quel processo.