
Il sole splende anche se le previsioni meteo dicono che questo arrivo di primavera sarà coperto di neve e gelo.
Il vento ha deciso di dare un po’ di tregua a questa piana tormentata, a questa terra di ulivi e aranci, di sole e sale.
La gente ci guarda, e noi restituiamo lo sguardo
Siamo trentamila, giunti qui da ogni parte d’Italia, da Foggia, Bari, Firenze, Bologna, anche da Calenzano e Prato. E poi, numerosissimi, dai comuni locali: Mileto, Vibo Valencia, Cutro, Soverato, Montecucco, Serrata, Galatro, Cosenza. E molti altri, raccolti intorno al gonfalone della Regione Calabria.
In trentamila per la marcia di Libera e Avviso pubblico, per gridare No alla mafia, a tutte le mafie, in questa “Giornata della memoria per tutte le vittime”.
Non c’è musica in questa mattina del 21 di marzo. Soltanto, lento, sale cadenzato per l’aria l’elenco delle 700 vittime della mafia, dal 1893 ad oggi.
Tenace sfila il corteo gonfio di volti, di sguardi, di occhi che non hanno paura di alzarsi verso il cielo per respirare aria nuova, di bocche che non hanno timore a chiedere giustizia. Forse non si può capire cosa significa stare in Calabria e dire No alla mafia. Forse soltanto marciando a fianco dei cittadini affaticati e forti, coraggiosi ed umili, mai rassegnati, si può capire cosa voglia dire viverci, qui in Calabria. Di cosa voglia dire scrutare dentro ai volti – e nemmeno troppo, che qui è meglio guardare in basso – e chiedersi da che parte stiano. Cosa voglia dire capire che l’autorità non è solo quella che indossa l’uniforme, dove i simboli dello stato – a volte – vengono svuotati dal di dentro del loro valore e significato.
Per questo la giornata di Polistena riveste una grande importanza nel panorama italiano.
Per questo, merita la grande attenzione che forse non le è stata dedicata abbastanza.
Per questo, vanno ben pesate e ponderate le parole che vengono pronunciate dal palco: dove salgono a parlare ministri, governatori, segretari di partito, ma dove il contributo più forte è senz’altro quello offerto, gridato quasi, dall’on. Francesco Forgione, presidente della Commissione parlamentare antimafia. “Siamo a Polistena, e insieme a Scampia, a Palermo, a Bari, ma anche a Torino, e a Milano, ovunque esista la mafia”. Intensa è la risposta della gente raccolta in piazza. E il calore continua, scaldando il j’accuse di Forgione. “L’uso legale dei beni confiscati ai mafiosi è una riconquista di democrazia, faremo in modo che vengano accelerati i tempi di riconsegna allo stato”. E ancora: “ Non dobbiamo rassegnarci alla mancanza di una legge che tuteli i testimoni di giustizia, una legge, finalmente, civile: presenteremo una modifica alla legge attualmente vigente, che non marchi una differenza tra vittime di serie A e vittime di serie B”. E infine, gridato, questo sì, guardando in faccia la piazza, in mezzo agli applausi dei molti e al silenzio ostinato di qualcuno che non è d’accordo: “ Vi toglieremo tutto, vi confischeremo i beni, vi colpiremo lì dove fa più male, sui vostri possedimenti”. Forgione è l’unico che davvero sfidi con gli occhi negli occhi coloro che tengono in ostaggio non solo questa terra calabra.
È questa davvero la “Calabria in movimento per la giustizia sociale”, come recita la slogan sugli striscioni tesi ai lati del palco. È veramente questa la Calabria che si scuote pensando al suo passato di vittime, perché “se loro sono morti, è perché noi non siamo stati abbastanza vivi”.
“Ognuna di quelle persone uccise è una storia, ha un volto, e merita che venga fatta giustizia” dice il vice ministro degli Interni, Minniti. “La lotta alla mafia è una priorità per il nostro paese; con la mafia non si può convivere. L’impegno della giustizia e della polizia è di colpire i patrimoni, in modo che ciò che la mafia ha tolto agli italiani venga restituito in beni sociali condivisi da tutti”. “Basta ai privilegi” chiede la mole imponente di Piero Grasso, capo della Direzione Investigativa Antimafia (DIA). “Chiaro e forte dev’esser il segnale di cambiamento e riscossa sociale: basta ai favoritismi, alle corruzioni, ai finanziamenti illegali alla politica, al racket e all’usura”.
E finalmente, l’attesissimo artefice morale di questa piazza. “Di chi è – chiede don Luigi Ciotti agli astanti che lo ascoltano in devoto silenzio – di chi è la responsabilità di tutto questo sangue innocente? È possibile che 133 famiglie tengano in ostaggio la Calabria? Il problema non è la ‘ndrangheta, siamo noi”.
Il problema siamo noi. Noi con la testa china. Noi con le labbra serrate nonostante la sofferenza. Noi, gente “aspra e dura”, come il sindaco di Polistena definisce i calabresi. Oggi, 21 marzo 2007, il segnale che viene da questa piana di sole e sale è un altro, un messaggio forte: di occhi di bambini, ragazzi, adulti che hanno il coraggio di alzare gli lo sguardo, di guardare con generosità e franchezza al futuro, camminando sulle strade tracciate da orme passate. Oggi, tra aranci ulivi e il vento che ne trasporta l’odore, è la Calabria della “gente onesta” a chiederci perché, a volere accanto un intero Paese che dopo qualche ora non riesca a tornare a casa nella tranquillità della coscienza protetta, a centinaia di chilometri di distanza, ma che continui a marciare, fianco a fianco, occhi negli occhi, con questi trentamila, oggi domani e sempre, a Polistena.
Lucia Pecorario