Sdegno Doloroso
di Antonella Sotira
Roma, 25.05.2005-Dopo anni di silenzio, il rumore deicolpi sparati contro Gianluca, hanno attraversato non solola sua vita ma anche la vita di noi “gente del sud”, lontanima non distanti dalla nostra terra, di noi che credevamoche “tutto fosse finito”.
Uno sdegno doloroso si affaccia a turbare le piccole guerre quotidiane del vivere per farci “ripiombare” in una trincea dimenticata. E’ come sentirsi traditi, improvvisamente colpiti alle spalle, trafitti da un fantasma che credevi scomparso,che credevi avesse preso altre sembianze.Un delitto terribile, non contro una sola persona, una sola famiglia, un solo paese, ma contro quella legittima possibilità di scelta nel dire “no” o “si” a certe regole.Un delitto che uccide la speranza, che alimenta la voglia di“starsene lontani” per recuperare altrove l’amore per una terra che non genera solo mostri.Non è facile condividere con chi non è calabrese lo sdegnodi questo lutto. Sono altre le tragedie che vanno di moda oggi. Altre ingiustizie, altre guerre, altri desideri di pace,animano le coscienze sociali, portano la gente a sfilare perle strade per chiedere libertà, diritti ed eguaglianze.Eppure questa “uccisione” ha la stessa dignità di un conflitto internazionale, la stessa veste di un diritto umanitariocalpestato ed ignorato, la stessa violenza di una “occupazione”di terra che confina uomini e speranze oltre un muro più alto di quello innalzato a Gerusalemme.Ritorniamo ad essere “sequestrati” da un terrorismo che stronca non solo le vite, ma i desideri, i sogni, i valori di chi coraggiosamente e dignitosamente vuole vivere nel rispetto delle regole civili.Chi scenderà nelle piazze per chiedere la “liberazione” di questa terra, chi pagherà il riscatto per il rilascio della nostra più bella calabresità, chi assicurerà il colpevole allagiustizia?Ricacciati nel limbo, rivive il terrore di un plotone di esecuzione spietato, pronto a sparare contro tutto e tutti indistintamente.Un silenzio che non è omertà, cala pesantemente sulle nostre vite costrette ad assistere ad una tragedia.Ma il sipario di sangue sceso a coprire la morte di un uomo non può distruggere l’immortalità del suo pensiero.Quei colpi di arma da fuoco erano diretti contro ognuno di noi, contro la nostra dignità di uomini, contro il nostro impegno a cercare nuovi antidoti per debellare il veleno dell’odio e della violenza. La forzata convivenza con i“non-uomini” intenti a distruggere, incide sul nostro agire sociale determinandoci a scegliere di crescere saldamente ancorati alla nostra meridionalità. Come cantava DeAndrè….dai diamanti non nasce niente, dal letame nasconI fior.
tratto da la Riviera del 29 maggio 2005