Ribellione anti-racket: in Sicilia allontanati da Confindustria una trentina d'imprenditori
di Umberto Lucentini
«In Sicilia da settembre ad oggi abbiamo perso decine di associati fra dimissioni e esclusioni»: Ettore Artioli, vicepresidente nazionale di Confindustria, parla davanti agli imprenditori di Palermo riuniti con i vertici delle forze dell'ordine.
E svela per la prima volta, anche senza fare nomi, i contorni di una ribellione che ha portato molti imprenditori siciliani a schierarsi apertamente contro il racket delle estorsioni.
L'occasione è l'assemblea straordinaria del Direttivo degli industriali palermitani dedicato ai temi della lotta al racket. Dice Artioli: «Sapevamo che alcuni imprenditori non si sarebbero ritrovati nella strada che abbiamo intrapreso, che è certamente una strada di non ritorno. Vogliamo sottolineare che è finita l'epoca in cui nel sistema economico una sorta di sudditanza alla criminalità organizzata "ci stava"».
Artioli ha davanti a sé molti imprenditori che hanno subito intimidazioni o attentati e non si sono piegati al racket. C'è anche Pina Maisano, la vedova di Libero Grassi, l'imprenditore che fu ucciso per il suo «no» alle cosche di Palermo. «Oggi c'è una nuova associazione di industriali che porta avanti nuove strategie, e che può riscattare gli imprenditori dall'ignavia che ha caratterizzato gli anni passati, in cui tanti associati sono stati uccisi dalla criminalità».
Artioli ripercorre gli eventi drammatici che hanno portato, ad agosto, alla scelta di espellere da Confindustria Sicilia gli associati che pagano il "pizzo" pochi giorni dopo l'ennesimo attentato che distrusse l'impresa di Rodolfo Guajana. «In quel periodo si susseguivano attentati intimidatori senza interruzione» ricorda Artioli, quindi dovevamo decidere come intervenire per cambiare il clima. Così siamo arrivati alla scelta di allontanare dall'associazione coloro che si sottopongono al pagamento del pizzo. Era una scelta complessa e difficile da assumere, ma trovammo l'assoluta disponibilità di Luca Cordero di Montezemolo che in quei giorni ci diede il pieno supporto dicendoci di andare avanti. Non avevamo idea delle conseguenze e delle reazioni dei colleghi imprenditori. Invece, è stata una scelta attesa e condivisa. Era necessario alzare i toni sui temi della criminalità organizzata. È il momento di allontanarsi dalle complicità e delle strizzatine d'occhio».
Un commento sul processo di espulsione arriva dal presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo: «È in linea con quanto previsto dal codice etico di Confindustria ed è la dimostrazione che non sono solo parole, ma anche fatti».
Al vertice, organizzato dal presidente di Confindustria Palermo, Nino Salerno, sono presenti il presidente di Sicindustria Ivan Lo Bello, il comandante provinciale dei Carabinieri Teo Luzi, il questore Francesco Caruso, il Comandante provinciale della Guardia di Finanza, Francesco Carofiglio.
Tra le forze dell'ordine anche il figlio di un indagato per mafia, l'imprenditore Antonino Catalano. È lui che, tra gli applausi, rende noto di essersi «iscritto» nell'elenco di chi dice no al pizzo: «A luglio un uomo in motorino mi ha avvicinato chiedendomi la "messa a posto". Ho preso il numero della targa e l'ho denunciato».
La riflessione di ucceo goretti
Non vorrei che questa fosse la scelta di Confindustria Calabria
