Nuove minacce al sindaco di Monasterace Lettera a casa: “Stai a casa e fai la madre”

Nuove minacce al sindaco di Monasterace Lettera a casa: “Stai a casa e fai la madre”

Il primo cittadino del paese della Locride, Maria Carmela Lanzetta, ha ritirato ieri le dimissioni: “Ciò che mi infastidisce è anche la tempistica, ma la decisione è presa, andremo avanti lo stesso”. Intanto il sindacato di polizia lancia l’allarme: “Le forze dell’ordine non sono in grado di garantirle la scorta”

Nemmeno un giorno di pace per il sindaco di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria, Maria Carmela Lanzetta. Proprio ieri, dopo essere tornata sui suoi passi e aver ritirato le sue dimissionida sindaco, ha ricevuto una nuova intimidazione: una lettera di minacce, accompagnata dall’invito a “restare a casa”.

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Il sindaco Lanzetta conferma le dimissioni «Non ho mezzi, torno a fare la farmacista»

monasterace (REGGIO CALABRIA)

Il sindaco Lanzetta conferma le dimissioni
«Non ho mezzi, torno a fare la farmacista»

Sono caduti nel vuoto tutti gli appelli che la invitavano a non mollare

Matria Carmela Lanzetta













Matria Carmela Lanzetta

MONASTERACE (RC) – Indietro non torna, Maria Carmela Lanzetta. Il sindaco di Monasterace (comune della Locride con poco più di tremila anime) conferma la decisione di gettare la spugna anche dopo la riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica di Reggio Calabria che le ha affidato una scorta a seguito delle numerose intimidazioni subite. L’ultima, in ordine di tempo, è arrivata la scorsa settimana. I picciotti del disonore si sono fatti vivi a colpi di pistola: hanno sparato contro la sua auto. Prima ancora, tra il 25 e il 26 giugno dello scorso anno, qualcuno diede fuoco alla farmacia della Lanzetta: in quell’occasione i danni furono ingenti, la sua famiglia si salvò solo per miracolo. E così la donna, iscritta al Partito democratico, ha detto basta: si è dimessa dalla carica di primo cittadino.

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‘Ndrangheta, 63 arresti

‘Ndrangheta: omicidio ed estorsioni, catturato a Treviso presunto criminale

Salvatore Crivello, 32 anni, si era stabilito con la famiglia a Preganziol. Era stato appena licenziato dal supermercato dove lavorava

Operazione dei carabinieri in tutta Italia (archivio)

Operazione dei carabinieri in tutta Italia (archivio)

COSENZA – È stato tratto in arresto nel trevigiano Salvatore Valerio Crivello, 32 anni, coinvolto nell’inchiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro che ha portato da parte dei carabinieri dei Ros a decine di arresti in varie regioni d’Italia contro la ‘ndrangheta. Crivello, che si era stabilito con la famiglia a Preganziol, è considerato un esponente di primo piano della cosca e ritenuto responsabile dagli investigatori di un omicidio e di intimidazioni finalizzate alle estorsioni e azioni intimidatorie anche nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine. Pochi giorni fa era stato licenziato dal supermercato dove lavorava perché avrebbe approvvigionato i familiari con prodotti a prezzi «di favore».

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Quella faida infinita di Oppido Mamertina

Quella faida infinita di Oppido Mamertina

Un bracciante agricolo di 42 anni, Vincenzo Ferraro, gia’ sorvegliato speciale di Ps cugino di Giuseppe Ferraro, latitante da una ventina d’anni è stato ucciso stamani in un agguato si trovava in una zona di campagna quando qualcuno gli ha sparato diversi colpi di fucile caricato a pallettoni. Ferraro, dopo Bonarrigo e Priolo. I primi tre delitti dell’anno, nella sterminata Piana di Gioia tauro
QUELLA FAIDA INFINITA DI OPPIDO MAMERTINA IN PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, CHE NON RISPARMIA NEMMENO DONNE, BAMBINI ED ANZIANI
La famiglia Ferraro è stata coinvolta nella faida che ha insanguinato Oppido a meta’ degli anni ’80. L’omicidio di Vincenzo Ferraro, ucciso stamani a fucilate, segue di 11 giorni un altro delitto, quello di Domenico Bonarrigo, di 45 anni, anche lui vittima di un agguato in una zona di campagna. L’omicidio del bracciante è il secondo che avviene a Oppido nelle ultime settinane. Prima di Ferraro il 2 marzo  2012 era stato freddato, sempre nelle campagne del centro aspromontano Domenico Bonarrigo

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‘Ndrangheta/ Scacco matto ai fiancheggiatori del Boss latitante

‘Ndrangheta/ Scacco matto ai fiancheggiatori del Boss latitante

In manette anche le donne del clan

       INFOPHOTO

Reggio Calabria, 13 mar. (TMNews) – Non si tiravano certo indietro se si trattava di aiutare uno di loro. Loro sono le donne della ndrangheta. Le donne della cosca Condello. Donne disposte a tutto pur di aiutare i sodali appartenenti alla consorteria criminale che fa capo a Pasquale Condello prima e Domenico Condello ora.

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‘Ndrangheta in Piemonte, confische per dieci milioni. “Riciclaggio in Olimpiadi e Tav”

‘Ndrangheta in Piemonte, confische per dieci milioni. “Riciclaggio in Olimpiadi e Tav”

La Dia mette i sigilli a una serie di immobili, anche in Lombardia e in Calabria, per riciclaggio dei profitti del narcotraffico. Il gruppo riconducibile a Ilario D’Agostino e Francesco Cardillo ha ottenuto commesse nelle grandi opere, dall’Alta velocità in Val Susa ai Giochi invernali del 2006, al porto di Imperia

Sorveglianza speciale e confisca milionaria per la ‘ndrangheta imprenditrice in Piemonte, Lombardia e Calabria. La Direzione investigativa antimafia di Torino ha posto questa mattina i sigilli su terreni, ville, abitazioni, locali adibiti ad esercizi commerciali, fabbricati in provincia di Torino, Cuneo, Asti, Milano (Legnano) e in Calabria (Caulonia e Riace) e contanti (un tesoretto di 150 mila euro) per un valore superiore ai 10 milioni di euro. I beni confiscati sono riconducibili a Ilario D’Agostino e Francesco Cardillo, secondo gli inquirenti esponenti della ‘ndrangheta incaricati di riciclare negli appalti e nel settore immobiliare i soldi sporchi del narcotrafficante calabrese Antonio Spagnolo, boss di Ciminà. Nell’ottobre 2009, alla data del loro arresto nell’ambito dell’operazione Pioneer, in cui è stata sequestrata la società Ediltava, “cassaforte” del gruppo, il Procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli ha parlato della “più importante operazione antiriciclaggio mai realizzata in Piemonte”.

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‘Ndrangheta, preso il boss Rocco Aquino era nascosto nel sottotetto della sua casa

‘Ndrangheta, preso il boss Rocco Aquino
era nascosto nel sottotetto della sua casa

di MARIA ELENA VINCENZI

È STATO arrestato dai Carabineri del Ros e dal reparto speciale dei Cacciatori di Calabria Rocco Aquino – detto ‘u Colonnello – 51 anni, superlatitante, considerato dagli inquirenti uno dei principali esponenti dell’ndrangheta.

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Ecco chi è Rocco Aquino un boss in giacca e cravatta

LA SCHEDA

Ecco chi è Rocco Aquino
un boss in giacca e cravatta

Arrestato il leader del clan omonimo. Superlatitante, ‘o Colonnello è un esponente di “alta levatura criminale” di una famiglia abituata al business e alle connessioni internazionali, specialmente con il Canada di GIUSEPPE BALDESSARRO

È CONSIDERATO dagli inquirenti un personaggio di “alta levatura criminale”. Nel suo territorio, Marina di Gioiosa Ionica, nella Locride, guidava la cosca con la carica di capo “Locale” e si divideva l’area di competenza con i “Mazzaferro”. Più che per le qualità dimostrate nella “gestione e governo del territorio”, che pure sono fuori discussione, Rocco Aquino si era ritagliato un ruolo importante ai vertici del mandamento Jonico, in virtù della storia criminale della propria famiglia e della sua forza economica.

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“Fiore per mio fratello”. In un pizzino le nuove gerarchie dei Pesce

“Fiore per mio fratello”. In un pizzino le nuove gerarchie dei Pesce
di Francesca Chirico (08/02/2012)
per Stop ‘ndrangheta

ROSARNO – Non ci sono formule di saluto, ringraziamenti a Dio e benedizioni. Forse perché non c’è stato tempo, forse perché, più semplicemente, lo stile cerimonioso di Provenzano non è proprio nelle corde dei Pesce.


La sera dell’11 agosto 2011 al 33enne Francesco Pesce “Testuni” interessa soltanto essere categorico e chiaro: l’hanno catturato il giorno prima e ora lo stanno per trasferire dal carcere di Palmi; è solo questione di tempo e arriverà pure il 41 bis. Quella è l’ultima occasione per comunicare al riparo dai controlli, per impartire direttive e indicare il cammino a chi, della cosca Pesce, è rimasto fuori. “Rocco Messina, Pino Rospo, Muzzupappa Ninareddo, Franco Tocco, Danilo, Paolo Danilo fiore per mio fratello (…)“. Il biglietto che ha consegnato al compagno di cella prima di avviarsi verso un’incerta destinazione comincia così. Solo che il pizzino non fa la fine sperata. Ricostruita nel decreto con cui la Dda di Reggio Calabria, anche sulla base del contenuto del foglietto, ha fermato dieci presunti esponenti della cosca Pesce di Rosarno, la storia di quel pezzo di carta sarà tormentata e piena di sorprese. La prima, Ciccio Pesce, ce l’ha di fronte all’agente di Polizia penitenziaria che, avendo notato il passaggio del foglietto, è intervenuto con risolutezza chiudendolo in un’altra cella e facendosi consegnare il pizzino dal “postino” designato. Non se l’aspettava, il reggente della cosca di Rosarno che all’interno del carcere di Palmi aveva negli anni goduto, grazie alla complicità di un agente “infedele” (arrestato nel novembre 2010), di particolari attenzioni. “Datimi stu biglietti c’a già sugnu rovinatu“, urla a quel punto Francesco Pesce, in preda ad un’ansia così incontenibile da richiedere il trasferimento in infermeria. Non gli sfuggono le conseguenze: sa di avere inguaiato tutti quelli che ha nominato, regalando ai magistrati un eccezionale atto di accusa. Una consapevolezza che farà scattare – immediata e attraverso canali di comunicazione ancora da individuare – la ritorsione nei confronti dell’agente ligio al dovere e la punizione del “postino”, colpevole di aver consegnato il pizzino invece di distruggerlo. Al primo bruceranno l’auto il 25 agosto, il secondo tenteranno di linciarlo nel cortile del carcere, durante l’ora d’aria. Gli agenti della polizia penitenziaria riusciranno a strapparlo dalle mani di una decina di detenuti ma la vittima designata, con il naso sanguinante ed escoriazioni sul corpo, dichiarerà di essersi fatto male cadendo. In quei giorni il clima nel carcere di Palmi è così teso da far avanzare richiesta di trasferimento per tutti gli appartenenti alla cosca di Rosarno: “Le drammatiche dinamiche che ormai si sono create tra gli appartenenti alla cosca Pesce e questa struttura Penitenziaria e questo Reparto in particolare” fanno ritenere “che sia impossibile, se non a rischio di gravissime ripercussioni, che gli stessi continuino ad essere quivi ristretti ovvero quivi appoggiati per processo”. Ma perché quel foglietto era così importante? Per i carabinieri del Ros di Reggio Calabria (alcuni sono gli stessi che a Palermo hanno decodificato i pizzini di Provenzano) non ci sono dubbi: “L’incipit del manoscritto trattava una questione che stava in cima ai pensieri di Pesce Francesco: ormai in carcere, il giovane boss doveva legittimare criminalmente l’unico maschio libero della sua famiglia – il fratello Giuseppe, latitante – e, quindi, provvedeva a promuoverlo (“Fiore per mio fratello”) al grado di capobastone”. Nella simbologia mafiosa, infatti, il termine “fiore” indica i gradi della gerarchia ‘ndranghetista. “Come un autorevole capo che si appresta – seppur momentaneamente – ad uscire di scena, PESCE Francesco – sostengono i carabinieri del Ros – si preoccupava di garantire la sopravvivenza della cosca e di individuare il suo successore nel fratello minore”. Coordinate dal procuratore aggiunto della Dda di Reggio Michele Prestipino e dal sostituto procuratore Alessandra Cerreti le indagini hanno portato all’identificazione e al fermo delle sei persone cui Francesco Pesce intendeva comunicare e affidare l’investitura del fratello. Ma anche alla decifrazione delle altre direttive, di natura economica (“Biase soldi polacca ass.Fortugno”)  e pratica  (“Saverio di tuo cognato i 7 di Peppe Rao li dà a me veditela tu per questo digli queste cose”), contenute nel pizzino.

Allarme ‘Ndrangheta Confiscata quota del boss in società di Anghiari Intestata al figlio ventenne

Allarme ‘Ndrangheta Confiscata quota del boss in società di Anghiari Intestata al figlio ventenne

Le indagini della Polizia di Siderno

Nel mirino la famiglia Barranca. In passato la sigla ha gestito un hotel ora passato di mano. I nuovi gestori: non c’entriamo


Arezzo, 29 dicembre 2011 – Beni per un valore di un milione di euro, fra cui alcune quote di una società di Anghiari, la Oliver Gest,  sono stati confiscati da personale del Commissariato della Polizia di Stato di Siderno. I beni sono riconducibili, per l’accusa, a Vittorio Barranca, attualmente detenuto, ritenuto un elemento di spicco delle cosche della ‘ndrangheta di Caulonia, al quale e’ stato notificato un provvedimento di sorveglianza speciale per tre anni.

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