“Fiore per mio fratello”. In un pizzino le nuove gerarchie dei Pesce
di Francesca Chirico (08/02/2012)
per Stop ‘ndrangheta
ROSARNO – Non ci sono formule di saluto, ringraziamenti a Dio e benedizioni. Forse perché non c’è stato tempo, forse perché, più semplicemente, lo stile cerimonioso di Provenzano non è proprio nelle corde dei Pesce.
La sera dell’11 agosto 2011 al 33enne Francesco Pesce “Testuni” interessa soltanto essere categorico e chiaro: l’hanno catturato il giorno prima e ora lo stanno per trasferire dal carcere di Palmi; è solo questione di tempo e arriverà pure il 41 bis. Quella è l’ultima occasione per comunicare al riparo dai controlli, per impartire direttive e indicare il cammino a chi, della cosca Pesce, è rimasto fuori. “Rocco Messina, Pino Rospo, Muzzupappa Ninareddo, Franco Tocco, Danilo, Paolo Danilo fiore per mio fratello (…)“. Il biglietto che ha consegnato al compagno di cella prima di avviarsi verso un’incerta destinazione comincia così. Solo che il pizzino non fa la fine sperata. Ricostruita nel decreto con cui la Dda di Reggio Calabria, anche sulla base del contenuto del foglietto, ha fermato dieci presunti esponenti della cosca Pesce di Rosarno, la storia di quel pezzo di carta sarà tormentata e piena di sorprese. La prima, Ciccio Pesce, ce l’ha di fronte all’agente di Polizia penitenziaria che, avendo notato il passaggio del foglietto, è intervenuto con risolutezza chiudendolo in un’altra cella e facendosi consegnare il pizzino dal “postino” designato. Non se l’aspettava, il reggente della cosca di Rosarno che all’interno del carcere di Palmi aveva negli anni goduto, grazie alla complicità di un agente “infedele” (arrestato nel novembre 2010), di particolari attenzioni. “Datimi stu biglietti c’a già sugnu rovinatu“, urla a quel punto Francesco Pesce, in preda ad un’ansia così incontenibile da richiedere il trasferimento in infermeria. Non gli sfuggono le conseguenze: sa di avere inguaiato tutti quelli che ha nominato, regalando ai magistrati un eccezionale atto di accusa. Una consapevolezza che farà scattare – immediata e attraverso canali di comunicazione ancora da individuare – la ritorsione nei confronti dell’agente ligio al dovere e la punizione del “postino”, colpevole di aver consegnato il pizzino invece di distruggerlo. Al primo bruceranno l’auto il 25 agosto, il secondo tenteranno di linciarlo nel cortile del carcere, durante l’ora d’aria. Gli agenti della polizia penitenziaria riusciranno a strapparlo dalle mani di una decina di detenuti ma la vittima designata, con il naso sanguinante ed escoriazioni sul corpo, dichiarerà di essersi fatto male cadendo. In quei giorni il clima nel carcere di Palmi è così teso da far avanzare richiesta di trasferimento per tutti gli appartenenti alla cosca di Rosarno: “Le drammatiche dinamiche che ormai si sono create tra gli appartenenti alla cosca Pesce e questa struttura Penitenziaria e questo Reparto in particolare” fanno ritenere “che sia impossibile, se non a rischio di gravissime ripercussioni, che gli stessi continuino ad essere quivi ristretti ovvero quivi appoggiati per processo”. Ma perché quel foglietto era così importante? Per i carabinieri del Ros di Reggio Calabria (alcuni sono gli stessi che a Palermo hanno decodificato i pizzini di Provenzano) non ci sono dubbi: “L’incipit del manoscritto trattava una questione che stava in cima ai pensieri di Pesce Francesco: ormai in carcere, il giovane boss doveva legittimare criminalmente l’unico maschio libero della sua famiglia – il fratello Giuseppe, latitante – e, quindi, provvedeva a promuoverlo (“Fiore per mio fratello”) al grado di capobastone”. Nella simbologia mafiosa, infatti, il termine “fiore” indica i gradi della gerarchia ‘ndranghetista. “Come un autorevole capo che si appresta – seppur momentaneamente – ad uscire di scena, PESCE Francesco – sostengono i carabinieri del Ros – si preoccupava di garantire la sopravvivenza della cosca e di individuare il suo successore nel fratello minore”. Coordinate dal procuratore aggiunto della Dda di Reggio Michele Prestipino e dal sostituto procuratore Alessandra Cerreti le indagini hanno portato all’identificazione e al fermo delle sei persone cui Francesco Pesce intendeva comunicare e affidare l’investitura del fratello. Ma anche alla decifrazione delle altre direttive, di natura economica (“Biase soldi polacca ass.Fortugno”) e pratica (“Saverio di tuo cognato i 7 di Peppe Rao li dà a me veditela tu per questo digli queste cose”), contenute nel pizzino.