Congiusta
Libera: “Necessaria e urgente la riforma del Codice Antimafia”
Necessario e urgente approvare in via definitiva la riforma del codice antimafia attesa ormai da tempo che consente di fare un passo in avanti notevole nella lotta alle mafie e alla corruzione.
Chiediamo un forte senso di responsabilità per non compromettere una riforma così importante, senza restare prigionieri di tecnicismi e opportunismi. Il provvedimento contiene novità nella maggior parte condivisibili che raccolgono gran parte delle proposte avanzate da chi combatte quotidianamente la criminalità organizzata.
In particolar modo, Libera sottolinea alcuni degli aspetti positivi introdotti quali l’accelerazione del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali e di gestione dei beni sin dalla fase del sequestro, la trasparenza, la rotazione e le incompatibilità sulla nomina degli amministratori giudiziari, il rafforzamento di ruolo e funzioni affidati ai nuclei di supporto delle Prefetture e l’aumento di dotazione organica dell’Agenzia, nonché l’introduzione di ulteriori norme finalizzate a rendere effettivo, quando possibile, il riutilizzo sociale dei beni e a favorire la continuità produttiva delle aziende sequestrate e confiscate insieme alla tutela dei loro lavoratori.
Pur riconoscendo alcune criticità presenti nel testo, riteniamo indispensabile portare a compimento e senza arretramenti la riforma per rendere più efficace la lotta alla criminalità organizzata e mafiosa, alla criminalità economica e alla criminalità politica.
La rete nazionale di Libera, a cui aderiscono associazioni e cittadini continuerà a vigilare sull’iter legislativo in corso nella consapevolezza che la lotta la corruzione va completata a partire dall’inserimento dell’aggravante del metodo corruttivo nel reato di associazione mafiosa.
fonte: libera informazione
Calabria, il vescovo di Locri-Gerace: “Qui pezzi di Chiesa a braccetto con la ‘ndrangheta”
Alla presenza di Marco Minniti, il monsignore ha aperto così un incontro sul santuario della Madonna di Polsi, che in più inchieste viene indicato come luogo d’incontro dei boss. “E la società civile non è stata attenta”. Il ministro dell’Interno: “Parole potenti. Qui occorre separare Dio dalla ‘ndrangheta”
REGGIO CALABRIA – Il santuario della Madonna di Polsi, alle pendici dell’Aspromonte, viene indicato in diverse inchieste della magistratura come luogo d’incontro dei boss di ‘ndrangheta, in concomitanza con la festa dell’1 e 2 settembre che richiama migliaia di fedeli.
Omicidio Congiusta, ergastolo per Tommaso Costa
La decisione della Corte d’Assise d’Appello, dopo l’annullamento del carcere a vita, da parte della Cassazione. Il giovane commerciante fu ucciso nel 2005 a Siderno
di Consolato Minniti
mercoledì 28 giugno 2017
14:20
La corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, pochi minuti fa, ha confermato la condanna all’ergastolo per Tommaso Costa, accusato di essere il mandante dell’omicidio di Gianluca Congiusta, il commerciante ucciso il 24 maggio del 2005 a Siderno, per non essersi piegato alla violenza mafiosa.
Gratteri: «Per le istituzioni calabresi la ricreazione è finita»
Il procuratore di Catanzaro è stato sentito dalla Commissione parlamentare antimafia. Al centro delle audizioni le indagini della Dda nel Crotonese: «Prima quella provincia era un buco nero». L’emergenza degli organici: «Non ho con chi lavorare»
ROMA- È stata l’inchiesta Jonny (e lo scottante tema della gestione del Cara di Isola Capo Rizzuto) il tema caldo dell’audizione del procuratore capo della Repubblica di Catanzaro davanti alla commissione parlamentare Antimafia che ha sottolineato come l’indagine stia continuando relazionando sull’argomento a telecamere spente alla commissione.
Reggio Calabria, boss della ‘ndrangheta fa causa a Klaus Davi: “suoi documentari mi diffamano”
Domenico Foti, conosciuto come ‘Mimmo Vecchia Romagna’ e condannato in via definitiva nel 2002 per associazione mafiosa, ha chiesto al massmediologo Klaus Davi di rimuovere con effetto immediato i video che riguardano lui e la sua presunta appartenenza al feroce clan ‘ndranghetista dei Labate, conosciuti anche come ‘Attila’ o ‘Timanigiu’. Lo dichiara lo stesso Klaus Davi in una nota. A scrivere a Davi è stato il legale del Foti, l’avvocato Nicoletta Gattuso, la quale, a mezzo raccomandata a nome e per conto del Foti stesso (trovate in allegato la lettera), smentisce il presunto ruolo apicale del suo assistito all’interno del clan Labate e i suoi possibili interessi nell’attività dell’usura e chiede a Klaus Davi di ritirare il filmato che riguarda il proprio assistito nonché i post di lancio dello stesso, in quanto le notizie riportate, si legge nella missiva, sarebbero “assolutamente false e diffamatorie”. Il legale si domanda poi se il massmediologo sia “destinatario di gravissime fughe di notizie allo stato sconosciute a tutti”. Il massmediologo dichiara: “Non solo i famigliari di Mimmo Foti si sono barricati nel loro negozio quando ci siamo recati per far loro le domande, che tra l’altro volevano rappresentare un’opportunità di replica a quelle accuse verso di lui mosse dalla cittadinanza reggina, ma suo figlio mi ha verbalmente aggredito in diretta, dicendo a più riprese ‘ammazzati’. Intendiamoci, è un suo diritto non rispondere come è un nostro diritto porre domande sulle sue presunte attività nel quartiere del Gebbione che, come hanno dimostrato numerose indagini svolte dai Pm Antonio De Bernardo e Stefano Musolino, è ostaggio da anni di questa famiglia e delle sue pratiche estorsive; famiglia con cui il Foti intratteneva solidi rapporti di natura mafiosa”. Klaus Davi ha inoltre scritto, chiedendo un incontro, a Maria Elena Boschi: “È stata qui in Calabria per inaugurare un campo da calcio. Un’iniziativa che appoggio, ma ora c’è bisogno di una legge che impedisca le querele temerarie e punisca severamente le aggressioni ai cronisti”. Lo stesso Davi è stato brutalmente malmenato da due persone legate al clan Lo Bianco di Vibo Valentia, lo scorso luglio, mentre realizzava, insieme ad Alberto Micelotta, un’intervista a Rita Lo Bianco, madre del collaboratore di giustizia Andrea Mantella. Per tali violenze i due uomini sono stati rinviati a giudizio dalla Procura di Vibo. Di queste ore, inoltre, le pallottole all’indirizzo della giornalista Alessia Truzzolillo, alla quale va tutta la vicinanza del massmediologo che conclude: “Ho ricevuto la solidarietà di esponenti del CSM come Gianluigi Legnini, Luca Palamara e di molti altri, che ancora oggi ringrazio. Ma ora l’urgenza di studiare una legge contro le querele temerarie si fa inderogabile. Per questo ci batteremo finanche con azioni estreme affinché la politica si dia finalmente una mossa e si occupi della Calabria con un impegno reale e concreto”. Nessun passo indietro di Davi: “Reggio Calabria va liberata dai Labate e dal loro dominio mafioso”.
fonte:strettoweb
San Luca. Dopo baciamano al boss il vescovo rinvia le cresime
Antonio Maria Mira mercoledì 7 giugno 2017
La scelta del vescovo Oliva: inchinarsi ai clan rende schiavi., ci si inchina solo per cambiare vita. Nel paese del boss il 21 giugno digiuno e cresime rinviate
«Inchinarsi al potere umano, e ancor più al potere mafioso, rende schiavi ed uccide la speranza. Torniamo al Signore con una fede autentica che non scende a compromessi col male».
Mafia, Cassazione: Riina malato, ha diritto a morte dignitosa
Mafia, Cassazione: Riina malato, ha diritto a morte dignitosa
Il “diritto a morire dignitosamente” va assicurato ad ogni detenuto.
Milano. Scritta pro aborto sulla chiesa, la reazione del parroco vola sui social
Lettera aperta di don Andrea Bellò sulla pagina Facebook della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita, a Milano, è diventata virale.
Questa è una piccola “brutta” storia ma che sta dando ottimi frutti.
Arriva dalla pagina Facebook della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita, in zona Corvetto, periferia sud di Milano. E come tutte le notizie, soprattutto quelle che girano sui social, va verificata.
Al telefono la voce femminile che risponde al numero della parrocchia, appena dici che sei un giornalista, si irrigidisce un po’. E ti liquida con un “il parroco non c’è”.
Sfoderi la voce più pacata che riesci a fare e spieghi: “Volevo soltanto sapere se la storia è vera e se la pagina Facebok della parrocchia è davvero vostra”.
“Sì, è tutto vero. Ma il parroco non c’è”.
Il parroco è don Andrea Bellò, diventato famoso nelle ultime ore, suo malgrado, per un post Facebook che ha firmato e pubblicato sulla pagina della Parrocchia san Michele Arcangelo e santa Rita.
Ottenere 3700 reazioni, 307 commenti e 1590 condivisioni, per una pagina che normalmente registra 15 mi piace, è un record.
A colpire gli utenti è stata la reazione di don Andrea, dopo che il muro della sua parrocchia è stato imbrattato con una scritta offensiva: “Aborto libero (anche per Maria)”.
Il parroco ha deciso di scrivere su Facebook una lettera aperta all’anonimo “imbrattatore”.
Eccola:
«Caro scrittore anonimo di muri,
Mi dispiace che tu non abbia saputo prendere esempio da tua madre. Lei ha avuto coraggio. Ti ha concepito, ha portato avanti la gravidanza e ti ha partorito. Poteva abortirti. Ma non l’ha fatto. Ti ha allevato, ti ha nutrito, ti ha lavato e ti ha vestito. E ora hai una vita e una libertà. Una libertà che stai usando per dirci che sarebbe meglio che anche persone come te non ci dovrebbero essere a questo mondo. Mi dispiace ma non sono d’accordo. E ammiro molto tua mamma perché lei è stata coraggiosa. E lo è tutt’ora, perché, come ogni mamma, è orgogliosa di te, anche se ti comporti male, perché sa che dentro di te c’è del buono che deve solo riuscire a venire fuori. L’aborto è il “non senso” di ogni cosa. È la morte che vince contro la vita. È la paura che vince su un cuore che invece vuole combattere e vivere, non morire. È scegliere chi ha diritto di vivere e chi no, come se fosse un diritto semplice. É un’ideologia che vince su un’umanità a cui si vuole togliere la speranza. Ogni speranza. Io ammiro tutte quelle donne che pur tra mille difficoltà hanno il coraggio di andare avanti. Tu evidentemente di coraggio non ne hai. Visto che sei anonimo. E già che ci siamo vorrei anche dirti che il nostro quartiere è già provato tanti problemi e non abbiamo bisogno di gente che imbratta i muri e che rovina il poco di bello che ci è rimasto. Vuoi dimostrare di essere coraggioso? Migliora il mondo invece di distruggerlo. Ama invece di odiare. Aiuta chi è nella sofferenza a sopportare le sue pene. E dai la vita, invece di toglierla! Questi sono i veri coraggiosi! Per fortuna il nostro quartiere, che tu distruggi, è pieno di gente coraggiosa! Che sa amare anche te, che non sai neanche quello che scrivi!
Io mi firmo:
don Andrea»
Che una Chiesa venga imbrattata da scritte offensive, purtroppo non è una novità. E nemmeno che un parroco usi i social per cercare un dialogo con un aggressore. E non è una novità nemmeno che un sacco di persone plaudano alla sua scelta.
Ciò che è nuovo, anzi rinnovato è il coraggio del gesto di don Andrea. La bellezza di questo gesto. L’esempio di questo gesto.
fonte: Avvenire
‘Ndrangheta, catturato a San Luca il latitante Giuseppe Giorgi. E c’è chi gli bacia le mani
Ricercato dal 1994 era in un bunker sopra il camino della sua abitazione. Era nell’elenco dei cinque ricercati più pericolosi in Italia. Deve scontare una condanna a 28 anni per traffico di droga
di ALESSIA CANDITO
REGGIO CALABRIA – Dopo 23 anni di latitanza, sono scattate le manette per “U capra” Giuseppe Giorgi, considerato uno dei cinque latitanti più pericolosi d’Italia. Irreperibile dal ’94 e attualmente considerato al vertice della famiglia Romeo “Staccu”, il boss cinquantaseienne è stato arrestato questa mattina a San Luca, dopo quasi sei ore di perquisizione nella storica casa di famiglia, raggiunta e circondata nella notte da centinaia di carabinieri.
A sottolineare il ‘prestigio’ che Giorgi ancora ricopriva nella zona, all’uscita dalla casa dove era nascosto alcuni passanti si erano fermati e gli hanno baciato le mani, come mostra un video esclusivo mandato in onda dal Tg1.
“Avevamo intuito che c’era la possibilità che in questi giorni Giorgi passasse da casa – racconta uno dei militari che ha partecipato all’arresto – Quando le possibilità sono diventate alte probabilità, abbiamo fatto scattare l’operazione”. Un blitz complicato. La casa, un palazzotto a più piani dove abita tutta la famiglia, è nel cuore di San Luca, paese tuttora presidiato da un sistema di vedette dei clan, pronte a segnalare ogni possibile presenza estranea. Per questo, questa notte i carabinieri si sono mossi alla spicciolata, in silenzio, attenti a non farsi scoprire. Dopo aver circondato il palazzo e bloccato le strade limitrofe, attorno alle 3 hanno fatto irruzione.
Arrivati nell’appartamento di una delle figlie, gli investigatori non hanno trovato però traccia del latitante, se non un letto disfatto e ancora caldo. Ma sapevano che il boss era lì, per questo hanno iniziato a perquisire il palazzo palmo a palmo. Prima sono stati perlustrati gli appartamenti, le stanze, le cantine e le soffitte. Poi i carabinieri, planimetrie alla mano, hanno iniziato a controllare anche i muri. Da un vano nascosto sono saltati fuori 157mila euro in banconote di grosso taglio, divisi ordinatamente in buste impermeabili e occultati dietro una parete. Altri erano vuoti.
Giorgi era in bunker sopra il camino di casa a San Luca
Ci sono volute oltre sei ore di operazioni e occhi ormai allenati a scovare covi e nascondigli per individuare il bunker in cui Giorgi si era nascosto. Il rifugio, grande poco più di un loculo, era stato ricavato dietro il camino nella cucina dell’appartamento di una delle figlie del boss. Per accedere al covo, era necessario spostare una botola nascosta alla base da un masso. Da lì si apriva un piccolo tunnel che permetteva di accedere a uno stretto vano in cui il latitante riusciva a stento a stare in piedi. “Giorgi era praticamente murato”, ha spiegato il colonnello Franzese, che ha coordinato l’indagine. Una scomoda e quasi impensabile tana, pensata per salvarsi da un blitz, ma non per lunghe permanenze. E che questa volta non è riuscita a risparmiargli l’arresto.
Quando il meccanismo d’accesso al bunker è stato sbloccato, Giorgi è uscito senza fare resistenza e senza tentare di fuggire. “Prima o poi doveva succedere”, ha detto alle figlie, che abitano in quel palazzo e preoccupate hanno assistito per tutto il tempo alla perquisizione. Poi, rassegnato, si è fatto ammanettare.
Scortato dai carabinieri, il boss è stato portato all’auto che lo ha condotto al comando, di fronte a una folla silenziosa di amici e vicini. Più di uno di loro è riuscito ad avvicinarsi per salutarlo e baciargli le mani. Omaggi che riservano solo ai boss di rango.
“Come ogni capo, Giorgi non si è allontanato dalla sua zona – ha spiegato il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho – Andare via significa perdere il potere e nessuno si può permettere di farlo”. Un potere che si misura nel muro di omertà che per oltre due decenni ha protetto la latitanza del boss, catturato solo grazie a un’indagine tecnica, fatta di intercettazioni, osservazione dei familiari, pedinamenti. Anche per scelta. “In quest’operazione non ci sono stati confidenti, noi non vogliamo alcun rapporto con la criminalità. La ‘ndrangheta deve capire che non c’è margine di collaborazione con lo Stato, deve solo deporre le armi”, ha dichiarato il procuratore. “Questa – gli ha fatto eco il comandante provinciale dei carabinieri, Giancarlo Scafuri – è una terra che merita di più. I calabresi meritano di essere più coraggiosi e devono imparare ad avere maggiore fiducia nelle istituzioni”.
Latitante per quasi metà della sua vita, Giorgi deve scontare una condanna a 28 anni e nove mesi per associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e altri reati. Ma questa – ha rivelato in passato il pentito Francesco Fonti – non sarebbe stata l’unica attività cui il boss nel corso della sua vita si sarebbe dedicato. Secondo il collaboratore, Giorgi sarebbe stato coinvolto anche in un traffico di niobio, sostanza utilizzata per costruire reattori nucleari, trasportata dal boss da Budapest alla Sierra Leone. Qualche anno dopo, “U capra” si sarebbe occupato di organizzare l’affondamento di tre “navi dei veleni” – carrette del mare cariche di scorie – al largo delle coste calabresi.
fonte R.it