GIANLUCA CONGIUSTA. Una strada per ricordare che la ‘ndrangheta ha perso

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di Simona Musco

«Se pensavate di ucciderli vi siete sbagliati. Loro, le vittime, continuano a volare. Voi ‘ndranghetisti avete perso. Questo luogo, che volevate luogo di morte, sta diventando luogo di vita. Noi non vi odiamo, perché non siamo come voi. Salvate i vostri figli, non fate fare loro la vostra vita di latitanza e carcere. Se decidete di farlo troverete il nostro aiuto. Oggi non è un giorno di lutto, è un giorno di festa perché la ‘ndrangheta ha perso e noi abbiamo vinto».

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LA SANTA | «Ecco chi sono i “riservati” di Reggio Calabria»

Avvocati, professionisti, politici, insospettabili: tutti inseriti tra i massoni “invisibili” dai collaboratori di giustizia.

C’è un mare di nomi nei verbali dei pentiti Lo Giudice e Virgliglio. E la Dda va a caccia di riscontri e approfondimenti.

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REGGIO CALABRIA Le fonti di conoscenza dei due collaboratori sono diverse, come diversa è la caratura, ma per il giudice entrambi sono assolutamente attendibili e le loro dichiarazioni sono da ritenersi credibili e genuine. I pentiti Nino Lo Giudice e Cosimo Virgiglio, nel corso di interrogatori recentissimi su cui gli approfondimenti sono già in corso, hanno svelato al pm Giuseppe Lombardo i nomi di alcuni degli appartenenti a quella terra di mezzo in cui ‘ndrangheta e massoneria si mischiano per aiutarsi mutuamente.

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La morte di Provenzano, la vittoria delle vittime ci impone di insistere

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Antonio Maria Mira

Comunità Progetto Sud, incendiato terreno coltivato da donne in difficoltà

Stanotte ignoti hanno dato alle fiamme le terre della cooperativa “Le Agricole” a Lamezia Terme. In passato la comunità ha subito atti intimidatori. Il presidente don Panizza: “Una cosa è certa, noi non ci fermiamo”

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LAMEZIA. Ammontano a circa 5 mila euro i danni causati dall’incendio doloso ai terreni coltivati dalla cooperativa “Le Agricole”, appartenente al gruppo della comunità Progetto Sud di Lamezia Terme.

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Preso in Calabria il boss Fazzalari (e la storia della testa mozzata al rivale)

L’uomo è il secondo dei ricercati dopo Messina Denaro

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Roma, 26 giu. (askanews) – Il boss latitante Ernesto Fazzalari è stato preso nelle prime ore del giorno a Molochio, una frazione di Monte Trepitò, in provincia di Reggio Calabria dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale. In una nota si ricorda che l’arresto è stato eseguito in base ad un ordine di carcerazione ed una condanna all’ergastolo per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, porto e detenzione illegale di armi. Fazzalari è il secondo dei ricercati per importanza e pericolosità dopo Matteo Messina Denaro.

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Marcia nazionale degli AMMINISTRATORI SOTTO TIRO

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LA MARCIA

Da quando, nel 2011, abbiamo pubblicato il primo rapporto “Amministratori sotto tiro”, abbiamo assistito ad un trend crescente di minacce, intimidazioni e aggressioni contro donne e uomini che in tutto il Paese, hanno deciso di mettersi in gioco per governare le loro comunità.

 

Abbiamo sempre creduto che fosse necessario far conoscere quanto accade per essere vicini alle persone colpite e per sottolineare che queste siano questioni che riguardano la qualità della democrazia del nostro Paese e la possibilità, per chi ricopre incarichi istituzionali, di farlo con libertà e sicurezza, senza essere condizionato o condizionabile.

Proprio per questo abbiamo scelto di organizzare la prima Marcia nazionale degli amministratori sotto tiro il prossimo 24 giugno.  Abbiamo scelto di andare in Calabria, una terra dove le minacce e le intimidazioni verso gli amministratori locali crescono costantemente e in modo sempre più spaventoso.

Accanto alla Marcia, quello stesso giorno, a Gioiosa Ionica presenteremo il Rapporto “Amministratori sotto tiro 2016″, invitando sindaci, rappresentanti istituzionali, associazioni, rappresentanti del mondo del lavoro, studenti e cittadini.

Dal palco, dopo l’intervento di apertura del Sindaco della città, Michele Tripodi, anch’egli più volte oggetto di minacce e intimidazioni, si alterneranno gli interventi di:

Nicola Irto, Presidente del Consiglio Regionale della Calabria
Doris Lo Moro, Presidente della Commissione di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni agli amministratori locali
Rosy Bindi, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia; • Filippo Bubbico, Vice Ministro dell’Interno;
Roberto Montà, Presidente di Avviso Pubblico.

 

Caselli: «Contro Antoci brutto segnale»

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ANTONIO MARIA MIRA
20/05/2016
«L’attentato contro il presidente del Parco dei Nebrodi è stato un pessimo segnale. Poi capiremo se si è trattato di un fatto isolato o l’inizio di una sequenza, ma sicuramente è stato un tentativo di strage». Per Giancarlo Caselli, ex procuratore di Palermo e Torino, nella lotta alle mafie «non possiamo ancora voltare pagina. Non dobbiamo essere pessimisti ma neanche illuderci che non possano succedere fatti di questa gravità. È nelle corde dei mafiosi, purtroppo… ». Per questo «bisogna rimettere le mafie all’ordine del giorno, come repressione ma anche come prevenzione. Se non c’è, la risposta complessiva è debole». Anche nel settore agroalimentare, «un business per i clan da 16 miliardi l’anno in costante aumento», ricorda Caselli che oggi è presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare, promosso da Coldiretti.

È così importante questo affare, da sparare per ammazzare?

L’agroalimentare muove 274 miliardi, occupa 2,5 milioni di persone ed è tra i principali motori dell’economia nazionale. Siccome la filosofia delle mafie è ‘piatto ricco mi ci ficco’, ecco che si possono fare dei bei soldi, tanto più se si gioca con carte truccate.
Come?
In molti segmenti della filiera, tutto comprovato dalle indagini. Dai terreni alle aziende agricole, al trasporto, al controllo dei grandi mercati, alla grande distribuzione, alla vendita al dettaglio, alle aziende agrituristiche, alla ristorazione. E ancora l’aggressione parassitaria dell’infame pratica dei prestiti ad usura che svuotano l’azienda per poi impadronirsi del guscio per pochi soldi. Poi c’è il corollario del ricorso ai meccanismi complessi – ma loro sanno bene come districarsi – che danno accesso ai finanziamenti europei e alle altre risorse pubbliche. E siccome i loro strumenti di ‘lavoro’ sono corruzione e al limite la violenza, ecco che questi meccanismi si piegano a loro vantaggio. Infine, mettendo le mani sul comparto, affermano il proprio controllo sul territorio.
Questo giustifica tornare a sparare contro una figura istituzionale?
Le mafie capitalizzano la violenza come strumento per ottenere risultati economici attraverso attività illecite. Ma la violenza può anche solo essere minacciata come dice la Cassazione in un troncone del processo ‘Minotauro’, del 23 marzo 2015. La mafia è un sodalizio criminale che adopera il metodo mafioso anche in forma silente, cioè senza ricorrere a forme eclatanti, ma avvalendosi di quella forma di intimidazione, per certi aspetti ancora più temibile, che deriva, afferma, dal «non detto, dall’accennato, dal sussurrato, dall’evocazione di una potenza criminale cui si ritenga vano resistere». «Basta la parola », come diceva una vecchia pubblicità. Non c’è bisogno di prendere a pugni qualcuno. Ma quando la posta in gioco è di rilevanza tale, pur di conseguirla torna la violenza.
Sembra il caso dell’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi.
Esatto. Se uno mette i bastoni tra le ruote a un business colossale come questo non conviene più alla mafia restare sotto traccia. Esce allo scoperto anche puntando a una strage.
L’iniziativa di Antoci aveva fatto emergere una grande quantità di aziende collegate alla mafia.
La zona grigia si allarga sempre più. Coi mafiosi fanno affari in tanti perché conviene. Pecunia non olet.
Mafia antica e moderna, come questa dei Nebrodi che non disdegna l’abigeato ma poi è capace di intercettare i fondi europei.
Le mafie oggi sono un intreccio di antico e di moderno. Sono capaci di usare tutti gli strumenti della modernità, sono un network globale. Nascono dal latifondo nelle campagne e ci tornano attraverso le agromafie.
Questa vicenda dimostra quanto sia importante intervenire in sede di buona amministrazione. Quando arrivano le inchieste spesso è tardi.
Non c’è dubbio. Nell’agroalimentare per tutelare l’interesse del consumatore, la sua salute e il regolare funzionamento dell’economia pulita, l’intervento fondamentale è il ‘principio di precauzione’. Non intervenire solo ‘a babbo morto’ quando il danno è fatto ma cercare di prevenirlo. Non bisogna delegare tutto l’intervento alle forze dell’ordine. Bisogna studiarle prima le cose, capirle e intervenire. Tocca alla po-litica, all’economia, all’amministrazione, all’informazione. Bisogna intervenire in maniera determinata tutti quanti insieme perché queste cose rischiano di fare a brandelli il senso morale della comunità del nostro Paese. Ci deve essere un lavoro di squadra, che non si cerchi di chiudere la stalla soltanto quando i buoi sono scappati e poliziotti, carabinieri e magistrati ne hanno recuperato qualcuno. Un’economia controllata in maniera massiccia dalla mafia è un’economia che pensa solo agli interessi mafiosi e non a quelli generali.
Quello contro Antoci non è l’unico episodio di attacco mafioso a chi tutela l’ambiente. Abbiamo avuto varie minacce, ad esempio, ai presidenti dei Parchi nazionali del Pollino e dell’Aspromonte in Calabria.
Tutelare l’ambiente vuol dire anche fronteggiare adeguatamente la mafia. L’enciclica ‘Laudato sì’’ dice chiaramente che vanno difesi i beni comuni. I parametri mafiosi considerano invece questi beni come qualcosa che deve solo fruttare un profitto per sé.
Ci vuole più attenzione alle mafie? Il tema non sembra al centro dell’agenda politica.
Sta passando la tendenza a delegare tutto a forze dell’ordine e magistratura. Non è la strada giusta. Deve esserci l’antimafia della cultura, compito della famiglia, della scuola, della Chiesa, dell’informazione. E poi l’antimafia sociale, dei diritti e soprattutto il buon governo, che incida sulle radici delle organizzazioni criminali.
fonte: avvenire