Riina era malato da anni, ma negli ultimi tempi le sue condizioni erano peggiorate tanto da indurre i legali a chiedere un differimento di pena per motivi di salute. Istanza che il tribunale di Sorveglianza di Bologna ha respinto a luglio. Ieri, quando ormai era chiaro che le sue condizioni erano disperate, il ministro della Giustizia ha concesso ai familiari un incontro straordinario col boss –
‘ndrangheta
Dai Casalesi alla ‘ndrangheta, Cafiero De Raho è il nuovo Procuratore antimafia
E’ Federico Cafiero de Raho il nuovo Procuratore Nazionale antimafia e antiterrorismo.
Nominato il 17 ottobre nel plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, Cafiero de Raho è attualmente Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, dopo una lunga vita professionale trascorsa presso la Procura della Repubblica di Napoli.
‘Ndrangheta, 50 arresti in Calabria. Rampolli dei clan traditi dai social: su Facebook come criminali da film
Operazione nel Reggino: quasi tutti i fermati erano tra le nuove leve che imponevano il dominio sugli appalti. Alcuni erano arrivati a fare irruzione nelle riunioni delle Giunte comunali per minacciare gli amministratori. Ostentavano il loro potere con post e foto sui social network
di ALESSIA CANDITO
REGGIO CALABRIA – Tra Africo, Brancaleone e Bruzzano Zeffirio ogni appalto era cosa loro. E per rivendicarne l’esclusiva proprietà non hanno esitato persino a fare irruzione durante una riunione di Giunta e minacciare sindaco e vicesindaco, diffidandoli dall’assegnare ad altri appalti e lavori.
Vibo, Prefettura e Questura chiudono l’Etoile: “Quel bar è dei Mancuso”
Secondo un’informativa redatta dalle forze dell’ordine, l’esercizio commerciale ubicato in piazza San Leoluca sarebbe di effettiva proprietà di esponenti vicini ai Mancuso
E’ un dei bar più eleganti di Vibo Valentia, ma per gli inquirenti è sarebbe di proprietà di esponenti vicini alla criminalità organizzata e, in particolare, ai Mancuso di Limbadi. Per questo motivo, la Prefettura ha disposto, per la seconda volta nel giro di un anno, la chiusura del bar Etoile situato in piazza San Leoluca.
Ecco perchè fu ucciso Gianluca Congiusta
di Angela Panzera –
“La Corte ritiene che il compendio indiziario in atti a carico dell’imputato costituisca idoneo corredo probatorio a supporto dell’affermazione di colpevolezza per l’omicidio di Gianluca Congiusta.
OMICIDIO CONGIUSTA | “Gianluca ucciso perchè contrario ad un’estorsione”
L’imprenditore sidernese ucciso nel 2005. L’Appello-bis ha confermato l’ergastolo per Costa. Ecco le motivazioni della sentenza
di Ilario Balì
Ucciso perché si oppose ad una richiesta estorsiva ai danni del suocero. Questo il succo delle motivazioni con cui i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria hanno condannato all’ergastolo Tommaso Costa per l’omicidio dell’imprenditore sidernese Gianluca Congiusta, confermando la sentenza di primo grado.
Omicidio Ceravolo, il dossier della famiglia per riaprire il caso
L’avvocato dei genitori di Filippo, vittima innocente della faida tra i clan delle Preserre vibonesi, è al lavoro con alcuni consulenti tecnici per approfondire gli elementi emersi dalla prima inchiesta della Dda, che fu poi archiviata. Il 25 ottobre ricorre il quinto anniversario dell’assassinio del 19enne
SORIANO CALABRO Oggi come cinque anni fa, il cielo sopra Soriano, Sorianello e Gerocarne, piccoli centri dell’entroterra vibonese, rimane coperto da una cappa di paura e violenza che il trascorrere degli anni non ha affatto diradato.
‘Ndrangheta, il vescovo Oliva lancia la giornata della conversione
Ogni anno in ottobre al Santuario Nostra Signora dello Scoglio
LOCRI (REGGIO CALABRIA) – Una giornata di preghiera dedicata alla conversione dei mafiosi e degli ‘ndranghetisti.
Lamezia: ucciso dalla ‘ndrangheta nell’88, familiari scrivono a Presidente Mattarella
Lamezia Terme – A quasi 30 anni dall’omicidio del padre, Ruggero Talarico ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, affinché riconosciuto a lui e alla sua famiglia il diritto al risarcimento, come stabilito dal Tribunale ma che, a distanza di anni, ancora non arriva. Della storia di Antonio Raffaele Talarico, guardia giurata uccisa il 2 settembre del 1988, ci eravamo già occupati nel giugno di un anno fa quando abbiamo intervistato, per l’edizione cartacea e online de il Lametino, l’altro figlio, Vincenzo.
L’omicidio di Antonio Raffaele Talarico
Antonio Raffaele Talarico è una vittima innocente della ‘ndrangheta, riconosciuta effettivamente nel 2009, che 29 anni fa, mentre si stava dirigendo sul suo posto di lavoro, un cantiere edile in località Bagni, nei pressi del cimitero a Sambiase, quando, e si apprestava ad aprire il cancello, fu raggiunto alle spalle da diversi colpi di arma da fuoco che lo ferirono mortalmente a soli 50 anni. Guardia giurata da vent’anni, dopo le scuole dell’obbligo, sposò Lina Raso da cui ebbe quattro figli: Vincenzo, Ruggero, Gilda e Leone. Fu tra i primi, negli anni ’60 ad ottenere il decreto prefettizio di Guardia Particolare Giurata e venne ben presto assunto proprio nel cantiere dove, dopo vent’anni, perse la vita. Quello nei suoi confronti fu un agguato vero e proprio: all’inizio, nonostante le indagini, non ci fu nessun risultato. Talarico era incensurato, non aveva fama di “cattivo ragazzo” ed era sempre stato un lavoratore dedito alla famiglia. A vent’anni dal suo omicidio arrivò la verità che confermò i sospetti degli inquirenti dell’epoca: era stato ucciso per una questione territoriale di guardianie. Coloro che seguirono le indagini ai tempi sapevano che dietro l’omicidio, per modalità e tempi, doveva esserci una ‘ndrina locale che stabilmente controllava il territorio di Sambiase, o almeno una parte.
La mano del racket delle guardianie
Coloro che uccisero Talarico facevano parte dell’organizzazione criminale che si occupava del racket delle estorsioni e delle guardianie: volevano imporre i loro guardiani, ma per farlo dovevano eliminare i vecchi guardiani, come Antonio Raffaele Talarico, e così fecero. L’attività investigativa svolta da Forze dell’ordine e Magistratura, portò al rinvio a giudizio di numerosi esponenti della cosca ma il procedimento penale nei loro confronti si concluse con un nulla di fatto. Tutto archiviato, infatti, per mancanza di prove. Solo dopo otto anni dall’omicidio, il caso fu riaperto. Cominciò a parlare, infatti, un ex esponente della cosca, Pasqualino D’Elia, che, divenuto collaboratore di giustizia, ammise di aver partecipato all’omicidio e, solo nel 2011, si è arrivati alla sentenza di primo grado che portò alla condanna di D’Elia, reo confesso. Una vicenda giudiziaria che si concluse con la conferma della condanna in secondo grado e anche in Cassazione.
I figli davanti la strada intitolata a Pianopoli in memoria del padre
La lettera integrale inviata da Ruggero Talarico al Presidente della Repubblica
“Caro Presidente voglio informarla perché chi meglio di Lei possa comprendere questa vicenda essendo stato colpito, come noi, dalla violenza mafiosa. “Mio padre Antonio Raffaele Talarico era una guardia particolare giurata che, in data 2 settembre 1988, veniva assassinato dalla criminalità organizzata all’età di soli 49 anni. Il procedimento a carico di ignoti fu inizialmente archiviato e riaperto successivamente nel 1996 a seguito di rivelazioni di un collaboratore di giustizia, reo confesso, D’Elia Pasqualino, condannato definitivamente nel 2011 ad anni 30 di reclusione. La Corte di primo grado stabilì in sentenza il pagamento di una provvisionale agli eredi superstiti, ovvero il sottoscritto, mia madre, i miei due fratelli e mia sorella, tutti costituitisi parte civile nel processo e rimandava al giudizio civile, la quantificazione del danno. Pertanto, il Ministero dell’Interno, provvedeva al pagamento della provvisionale stabilita dai giudici di primo grado tramite il Fondo di Rotazione, con delibera ministeriale, in attesa del risarcimento da quantificarsi da parte del giudice civile.
Al riguardo veniva: iscritta al ruolo, in data 08.11.2012, la causa nr.4442/2012 per la quantificazione del danno presso il Tribunale di Catanzaro, in data 08.01.2013 veniva designato il Giudice Dr. Nania, veniva poi fissata l’udienza al 22.11.2013, l’udienza di novembre veniva rinviata al 24.05.2016 (ben tre anni dopo!). L’udienza di maggio, per sostituzione del giudice Nania, nel frattempo trasferito, ed assegnata al GOT D.ssa Maura Fragale, la quale rinviava al 18.07.2017 per l’eccessivo carico del ruolo. A quest’ultima udienza, in mia presenza, lo stesso Giudice rinviava ulteriormente all’11.09.2018 facendo presente al mio legale Avv. Alessandro Vecchio di eventualmente avanzare richiesta di anticipare l’udienza qualora venisse assegnato al Tribunale di Catanzaro, un giudice togato. Sostanzialmente dal 08.11.2012 al 18.07.2017 nessuna attività istruttoria è stata svolta, perché nessuna occorreva espletarne, rinviando ulteriormente senza alcun motivo una sentenza in cui si tratta solo di quantificare il danno!
Premesso quanto sopra esposto: pur volendo comprendere la carenza di organici, la grande mole di lavoro e la complessità della causa in questione, trovo incomprensibile che una causa di risarcimento per uno dei delitti più gravi previsti nel nostro codice penale (omicidio) venga assegnato ad un giudice onorario e trattato alla stregua di liti condominiali. per la trattazione di questa causa sono passati circa 6 anni di rinvii – e chissà ancora quanti altri anni ne passeranno – atteso che bisogna aspettare l’arrivo di nuovi giudici togati affinché qualcuno prenda in carico questa causa e stabilisca il previsto risarcimento che spetta a noi vittime, prima della criminalità e successivamente della burocrazia.
Mia madre è rimasta vedova all’età di 47 anni con figli minori a carico ha veramente vissuto l’inferno sulla terra insieme a noi figli anche perché mio padre era l’unica fonte di reddito. Oggi alla soglia degli 80 anni piena di acciacchi ecc… quanto ancora dovrà attendere affinché le venga riconosciuto un sacrosanto diritto? È intenzione del sottoscritto di andare avanti ad oltranza fino alla sentenza informando mensilmente tutti i vertici dello Stato. Infatti è mia intenzione scrivere anche ai presidenti di Camera e Senato e successivamente ai rappresentanti del Governo finché non riceverò una risposta esaustiva per la definizione della causa”.
Fonte: Il lametino.it
L’inferno vuoto delle donne in fuga dalla ’ndrangheta
Non hanno mai commesso reati, non possono essere pentite e nemmeno testimoni di giustizia. Una di loro si racconta: «Vivo nel limbo: niente auto, gite per i figli, viaggi»
Dopo la stagione dei pentiti ora un spunta un nuovo fenomeno: quello delle donne che abbandonano le famiglie per risparmiare ai figli maschi il carcere o la bara
niccolò zancan
inviato a bologna
«La mia colpa è di essere nata in quel luogo».