Vitalizi, 608 eletti rischiano pensione con voto anticipato. M5s vs Pd: “Volete l’assegno”. “Voi tornate disoccupati”

Palazzi & Potere

Secondo il regolamento approvato dal governo Monti nel 2012 chi è alla prima legislatura ha diritto all’assegno solo se raggiunge il limite dei 4 anni, 6 mesi e 1 giorno. La data a cui tutti aspirano è il 15 settembre 2017. Secondo il Messaggero tra i parlamentari interessati ci sono 209 esponenti del Pd, oltre ai 154 eletti con il M5s. Il grillino Toninelli: “Abbiamo paura che si vada avanti fino al 2018 perché vogliono le pensioni d’oro”

parlamento-770x514

di F. Q. | 7 dicembre 2016
Dicono che non ci pensano e giurano che le preoccupazioni sono altre, ma il pensiero in testa ce l’hanno tutti o quasi: se si va al voto anticipato 608 parlamentari perdono la pensione. Tra questi, come ricostruisce il Messaggero, ci sono tutti gli M5s (e gli ex) e 209 esponenti del Pd. La preoccupazione per questi parlamentari è seria: stando al nuovo regolamento approvato dal governo Monti nel 2012 infatti, per chi è al primo mandato è necessario restare in carica almeno 4 anni, 6 mesi e un giorno per ottenere la pensione. La data limite è quindi quella del 15 settembre 2017 e nelle trattative del post crisi di governo potrebbe fare la differenza: se infatti Sergio Mattarella scioglie le Camere prima, addio assegno (da incassare dopo i 65 anni per gli eletti alla prima legislatura) e addio a tutti i contributi versati fino a questo momento. Sul tema è già iniziato lo scontro: “Vogliono tenersi la pensione”, ha attaccato il grillino Luigi Di Maio invocando il voto anticipato. “Basta ipocrisie. Si preoccupino loro che tornerebbero a essere disoccupati come prima del 2013”, ha replicato il dem Umberto D’Ottavio.
Come ha scritto Repubblica il 16 novembre scorso, il tema era di dominio pubblico nei corridoi del Parlamento già durante la campagna elettorale per il referendum. Secondo il quotidiano a Montecitorio sono 417 i deputati alla prima legislatura, mentre al Senato 191 su 315, per un totale di 608 su 945. Del gruppo fanno parte i 153 eletti con il Movimento 5 stelle (compresi quelli che poi sono usciti dal M5s) e 209 del Partito democratico. I grillini si sono smarcati dalle accuse chiedendo di andare subito alle urne. Diverso il discorso per i democratici: sono stati eletti quando il leader era Pierluigi Bersani e molti di loro sono diventati renziani in un secondo momento. Viste le nuove dinamiche, al momento poco prevedibili, dentro il partito è difficile avere garanzie per un second+o mandato e per tanti la preoccupazione è concreta. A esprimere il concetto era stato, sempre a Repubblica, il leghista Roberto Calderoli: “Io le sento le chiacchiere in buvette tra i colleghi”, aveva detto, “soprattutto i più giovani. E nessuno, dico nessuno ha voglia di lasciare la seggiola prima del 15 settembre 2017. Vuole che in nome della coerenza politica la gran parte di questi signori rinunci così facilmente alla pensione?”.
d accusare i colleghi di voler tenere la poltrona è stato il deputato M5s Danilo Toninelli, intervistato da “Voci del mattino” su Radio1 Rai: “Abbiamo paura”, ha detto, “che questo Parlamento vada avanti sino a fine legislatura, o magari arrivando ai 4 anni e mezzo e un giorno necessari per assicurarsi le pensioni d’oro, che vada avanti per fare una pessima legge elettorale, fatta apposta per svantaggiare gli unici avversari della partitocrazia, che siamo noi del Movimento 5 stelle”. Così anche il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio: “Parlamentari vogliono trascinarci in un altro governo di scopo perché prima di settembre 2017 non scatta pensione. #elezionisubito”, ha scritto su Twitter. Intervistato dal Messaggero ha respinto ogni accusa il dem Khalid Chaouki, deputato alla prima legislatura: “Il problema è politico e non abbiamo nessuna paura di tornare a casa”, ha detto. L’ex M5s Tommaso Currò, ora nel Pd, ha garantito: “Escludo che sarà questo ad allungare la vita dell’esecutivo”. Ma ha anche aggiunto: “Non sarei sincero se non ammettersi che tra noi parliamo anche di questo”.

Ha replicato per i dem il deputato Umberto D’Ottavio: “Basta con i tentativi del M5s di far credere che i deputati del Pd vogliono arrivare ad ottobre per la pensione”, ha dichiarato. “Il Pd ha già detto che non ha paura del voto, tanto meno della pensione. Piuttosto si preoccupi di quei parlamentari 5 stelle che senza l’incarico di deputato o senatore tornerebbero ad essere disoccupati come prima del febbraio 2013 e che in questi giorni sono allarmati e che sperano che il Pd salvi loro la poltrona. I molti parlamentari del Pd alla prima legislatura sono professionisti o dipendenti in aspettativa che con tranquillità e onore potranno riprendere la loro attività e continuare a pagare, come tutti, i contributi per la pensione quando arriverà. Basta ipocrisie come quelle per l’Italicum”.
di F. Q. | 7 dicembre 2016

Appalti truccati nei rifiuti, 14 arresti nel reggino

Operazione “Ecosistema” della Dda di Reggio Calabria, comuni del basso Jonio reggino asserviti ai clan. Amministratori e imprenditori accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, turbativa d’asta, violenza privata e estorsione

rifiuti

di ALESSIA CANDITO
Appalti truccati, amministrazioni asservite, elezioni addomesticate a uso e consumo dei clan Iamonte e Paviglianiti. È questo il quadro che emerge dall’operazione “Ecosistema” della Dda di Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di 14 persone fra Reggio Calabra, Roma e Urbino, mentre altre 4 sono state colpite da un provvedimento di obbligo di dimora. A vario titolo, sono tutti accusati di concorso esterno in associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, violenza privata, estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza, corruzione, falsa testimonianza. Ma non si tratta solo di uomini di ‘ndrangheta. Fra loro, ci sono una decina fra funzionari e amministratori dei Comuni del basso Jonio reggino, tutti accusati di aver aiutato i clan Iamonte e Paviglianiti ad accaparrarsi gare e appalti, soprattutto nel settore rifiuti.

I POLITICI SOTTO INCHIESTA – Per ordine del gip di Reggio Calabria, finiscono agli arresti domiciliari il sindaco di Bova Marina, Vincenzo Crupi (Pd) , il vicesindaco di Brancaleone, Giuseppe Benavoli e il suo assessore Alfredo Zappia (lista civica), l’ex vicesindaco di Melito, Giuseppe Iaria (Pd) e il suo ex responsabile dell’Ufficio tecnico, ingegnere Franco Maisano, più l’ex dirigente del settore Ambiente della provincia di Reggio Calabria. Colpiti invece da un provvedimento di obbligo di dimora sono l’assessore di Brancaleone, Giuseppe Domenico Marino (lista civica) e il collega di Melito Porto Salvo, Salvatore Trapani (Pd). Nessun provvedimento è stato disposto a loro carico, ma risultano formalmente indagati per diversi episodi di corruzione il sindaco di Motta San Giovanni, Paolo Laganà (Pd) e il suo omologo di Palizzi, Water Scerbo (Pd). Risultano invece indagati per corruzione elettorale aggravata dall’aver agevolato la ‘ndrangheta l’ex consigliere regionale Pasquale Tripodi (Udc) e il consigliere in carica Francesco Cannizzaro, eletto con la Casa delle libertà.

L’INDAGINE – “L’elemento centrale dell’indagine – dice il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero – è Saro Azzarà, titolare dell’Ased, nota azienda di raccolta e smaltimento rifiuti. È legato a doppio filo al clan Iamonte, già lambito da varie indagini, ma fino ad oggi mai colpito da provvedimenti”. Grande mattatore di appalti in tutta la provincia e non solo, Azzarà gestiva sostanzialmente in regime di monopolio la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti nel basso jonio reggino. A garantirlo, un “rapporto circolare di corruzione” fra politica, ‘ndrangheta e imprenditoria, in cui tutti avevano da guadagnare. L’imprenditore sponsorizzato dal clan non aveva difficoltà a ramazzare appalti, in cambio dei quali i politici potevano chiedere assunzioni con cui incrementare le proprie clientele in vista di future avventure elettorali, mentre il clan rafforzava sul proprio territorio guadagni e potere. Nessuna delle amministrazioni coinvolte ha mai sottoposto le ditte che gestivano la raccolta rifiuti al benché minimo controllo, con buona pace della salute pubblica.

Assegnazioni pilotate, gare confezionate su misura, pur di favorire la ditta di Azzarà e quelle che con lui erano in joint venture. E che oggi sono finite nei guai. Insieme a lui, arrestato per concorso esterno, in manette è finito anche un altro ras della raccolta rifiuti in Calabria, Carmelo Ciccone, imprenditore attivo nella Piana di Gioia Tauro, ex amministratore della Radi. “Anche negli affari, si dimostra l’unitarietà della ‘ndrangheta”, commenta il procuratore che lancia l’allarme “di fronte a tale spregiudicatezza, non possiamo escludere il rischio di un illecito smaltimento di rifiuti tossici e nocivi insieme a quelli urbani e pericolosi. Ma allo stato, su questo non abbiamo prove”.

D’altra parte, nessuno controllava i camion di Azzarà. Nei Comuni del basso Jonio reggino, lui da imprenditore dei clan aveva carta bianca. Quanto meno nella gestione dei rifiuti. Per quanto riguarda le velleità politiche invece no. Nel 2014, l’imprenditore progettava di candidarsi alle elezioni convocate per ridare istituzioni elette al Comune di San Lorenzo, da circa un anno in regime di commissariamento in seguito alle dimissioni del sindaco. Ma le diverse anime del clan Paviglianiti non hanno raggiunto l’accordo sul suo nome, nessuna lista è stata presentata e il Comune ha dovuto attendere mesi ancora prima di tornare alle urne. Con il beneplacito dei clan
fonte R.it